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domenica 22 luglio 2012

SPAGNA: la dittatura sta mostrando il suo volto

Spagna: gli indignatos sporgono querela contro Bankia

Alla fine ce l'hanno fatta e prima di quanto fosse previsto. Il [movimento] 15M ha presentato una denuncia prima che il Tribunale Supremo di Madrid potesse difendersi dall'accusa di falsità e frode commerciale da parte dei dirigenti di Bankia, tra cui l'ex Presidente Rodrigo Rato, che è stato anche Ministro dell'Economia spagnola e Direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale (FMI).
La denuncia, presentata da 13 azionisti minori che hanno perso i propri risparmi, chiede l'arresto, l'esclusione e il patrimonio dei membri del consiglio di amministrazione della banca a partire da quando ha cominciato ad essere valutata in borsa nel luglio 2011.
Anche se la denuncia è stata presentata come una mossa specifica per “evitare una perdita milionaria”, rappresenta tra l'altro un'”azione popolare contro le banche, in quanto migliaia di persone vi stanno prendendo parte”, ha dichiarato un membro del team giudiziario. E non c'è dubbio: è un'azione collettiva, come ha dichiarato in una conferenza stampa il 15MpaRato [15M per sempre o 15M contro Rato]. A Madrid vari gruppi del 15M che sostengono e promuovono la denuncia erano presenti, come los Iaioflautas [es, come tutti gli altri link], la Piattaforma per la Revisione dei Debiti cittadini, il Piano di Sicurezza Cittadino e X.net.
“”Ho avuto fiducia nei miei risparmi in Bankia e ora mi sento tradita. Non riesco a trovare una parola del vocabolario per descrivere il mio sfinimento”, ha dichiarato una degli interessati, una donna di 62 anni, in una conferenza stampa che è stata seguita in diretta da Bambuser da circa 2500 persone.
La presentazione della denuncia è stata supportata, seguita e commentata su Twitter sotto l'hashtag #Ratoencerrado [ratt-oo intrappolato] un gioco di parole tra il nome dell'ex Presidente di Bankia e l'espressione “c'è un gatto intrappolato” (c'è qualcosa nascosto) che si riferisce alla speranza di avere Rato dietro le sbarre insieme alla quantità di conti e operazioni sospetti.
L'hashtag è stato lanciato alle 10 am e nel giro di pochi minuti è diventato un argomento di tendenza in Spagna e nel mondo.


Spagna: leggi speciali contro i manifestanti, benvenuti nel Nuovo Ordine Mondiale!
Dopo giorni di dure proteste da parte del popolo iberico ecco che il parlamento fantoccio spagnolo ha subito proposto una legge di emergenza contro il diritto di manifestare.
(ANSA) – MADRID, 19 LUG – Giro di vite in Spagna in nome della sicurezza: Il Congresso dei Deputati ha approvato oggi una mozione per introdurre nel Codice penale il reato specifico di ‘violenza urbana‘ e perregolare il diritto alla riunione.
L’obiettivo, secondo Convergencia i Unió (CiU), partito che ha presentato la proposta trovando l’appoggio del partito di governo (Pp), e’ ”ottenere una miglior regolazione delle misure e dei servizi di sicurezza durante le manifestazioni e le concentrazioni dei cittadini”.
Ecco il vero volto della democrazia tecnocratica, reprimere il dissenso con i manganelli e leggi speciali restrittive, servili ad eseguire gli ordini impartiti da parte delle elite.Mi domando quale sara ‘ il prossimo passol’instaurazione della legge marziale?
Signori siamo arrivati agli sgoccioli IL NUOVO ORDINE MONDIALE E’ ALLE PORTE!!!




Tratto da: Spagna: leggi speciali contro i manifestanti, benvenuti nel Nuovo Ordine Mondiale! | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/07/21/spagna-leggi-speciali-contro-i-manifestanti-benvenuti-nel-nuovo-ordine-mondiale/#ixzz21Nn5h1F4
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!


Spagna. Rajoy vuole il carcere per chi organizza proteste, anche su Internet

Negli ultimi giorni, sui Twitter spagnoli, uno dei più seguiti hashtag (parole precedute dal simbolo # che servono per segnalare e ricercare particolari tematiche su social network come Google+, identi.ca o Twitter appunto) è #HolaDictadura. Il motivo è che il governo di Mariano Rajoy ha annunciato l’intenzione di imporre un controllo sui social network e convertire in reato penale ogni incitazione o organizzazione di protesta attraverso questi mezzi.
Se l’iniziativa dovesse andare in porto, l’esecutivo di destra del Partito Popolare (PP) potrà perseguire i movimenti sociali e mettere in atto una sorta di detenzione preventiva dei manifestanti. Cosa che a ben vedere già accade, almeno in parte, visto che alcuni giovani sono stati arrestati a Barcellona durante l’ultimo sciopero generale, e attualmente restano in prigione con la motivazione che “podrìan reincidir”, potrebbero essere recidivi, dunque protestare di nuovo.
Proprio gli incidenti del 29 marzo a Barcellona sembrano aver fornito al governo il pretesto necessario per introdurre le nuove norme repressive. È a partire da allora infatti che l’esecutivo, assieme alla Giunta regionale della Catalogna, decise di promuovere riforme legislative per indurire la criminalizzazione di atti che qualificano come “guerriglia urbana” mossi da “gruppi anti-sistema radicali”.
Nello spiegare ai giornalisti gli intenti dell’iniziativa, il ministro degli Interni spagnolo, Jorge Fernandez Diaz, ha descritto in anteprima alcune novità introdotte dalla riforma. Chiunque sia sorpreso a svolgere azioni che mirano ad “alterare gravemente l’ordine pubblico” potrà essere accusato di “coinvolgimento in organizzazione criminale”.
Saranno parimenti considerate dei crimini le azioni che “si decidono attraverso qualsiasi mezzo, Internet o i social network, tese ad agire in modo coordinato per alterare l’ordine pubblico e provocare disordine con tecniche di guerriglia urbana”. “La sanzione minima per queste persone – ha continuato il ministro – sarà di due anni, di modo che i pubblici ministeri possono chiedere la detenzione preventiva e i giudici, nel caso, accordarla”.
E non finisce qui. La riforma dell’esecutivo va ben oltre, e prevede anche l’introduzione del reato di disordine pubblico per chi faccia ingresso in edifici pubblici senza autorizzazione, “come nel caso delle occupazioni di agenzie e università, o per chi vi impedisca l’accesso, o infine chi produca danni, interruzioni o disturbi al regolare svolgimento di qualsiasi servizio pubblico”. Tutte azioni comuni durante gli scioperi, quando si fa ‘picchettaggio informativo’ all’ingresso delle istituzioni o si bloccato gli accessi alle stazioni ferroviarie o alla metropolitana.
Un’altra iniziativa promossa dal governo è quella di includere fra i reati di violazione dell’autorità la resistenza attiva o passiva alle forze dell’ordine; un reato che se fosse stato in vigore durante la nascita del movimento degli indignados avrebbe permesso lo sgombero immediato di tutte le piazze di Spagna.
Ora, se analizziamo il provvedimento che il governo spagnolo si è detto intenzionato a prendere, ci accorgiamo che ci sono due aspetti della questione altrettanto preoccupanti. Il primo, più immediato, è relativo alle restrizioni del diritto di protestare, alla volontà di impedire ai cittadini di manifestare il proprio dissenso in forma organizzata
Ma è forse il secondo aspetto che deve far preoccupare di più gli spagnoli. Misure del genere, infatti, possono anche essere lette come una protezione preventiva da parte del governo in vista di prossime riforme difficili da sostenere per la popolazione. Chi si appresta dall’alto a calare la scure deve prima accertarsi che chi sta ‘sotto’ non abbia modo di difendersi, magari ribaltare la situazione. In quest’ottica le norme repressive che l’esecutivo dichiara di voler adottare potrebbero essere solo un mezzo per facilitare l’introduzione di misure ben più dure.
http://www.ilcambiamento.it/crisi/spagna_rajoy_proteste_internet.html




Tratto da: Spagna. Rajoy vuole il carcere per chi organizza proteste, anche su Internet | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/04/27/spagna-rajoy-vuole-il-carcere-per-chi-organizza-proteste-anche-su-internet/#ixzz21Nnmuhs4
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!


La Spagna si agita e la polizia comincia a sparare

di Chiara Sirianni -

Le tensioni sociali stanno salendo, e così la repressione. Il governo di Mariano Rajoy ha deciso di varare norme molto dure contro le proteste, che proibirebbero anche la resistenza passiva al pubblico ufficiale. Un modo, cioè, di porre fine ai movimenti degli Indignados dell’anno passato. Inoltre è aumentata la violenza delle reazioni della polizia che impiega regolarmente proiettili di gomma sparandoli sulla folla.I proiettili di gomma adoperati dalla polizia spagnola
I proiettili di gomma adoperati dalla polizia spagnola


Agli occhi del turista Barcellona è una città allegra: quella della movida, della paella, della Rambla, e della sua (non più) imbattibile squadra di calcio. E chissà cosa deve aver pensato quel ragazzo italiano di 36 anni, che durante lo sciopero generale convocato dai sindacati spagnoli il 29 marzo è stato ferito da un proiettile di gomma. Ai giornalisti ha raccontato di essersi inginocchiato, di essersi portato una mano all’occhio e di aver visto sangue ovunque. Portato d’urgenza all’ospedale Sant Pau, dopo un intervento chirurgico di quattro ore i medici si sono arresi all’evidenza: cornea, cristallino e retina erano troppo danneggiati, e la vista non sarà più recuperata.
Incensurato, odontotecnico specializzato in protesi dentarie, si era avvicinato assieme alla sua ragazza e a un amico ad ascoltare un comizio in Plaça Catalunya. I proiettili di gonna sono molto usati dalla polizia autonoma catalana, i Mossos d’Esquadra. Composti di caucciù e pesano 85 grammi circa, servono a disperdere la folla, con norme di utilizzo ben precise: vanno sparati verso terra, e da una distanza minima di 50 metri.
Dai filmati della manifestazione è però emerso che alcuni colpi sono stati esplosi direttamente contro i manifestanti. Non si tratta di un fenomeno isolato: si tratta degli stessi proiettili che a Bilbao, il 9 aprile, hanno causato la morte di Iñigo Cabacas Liceranzu, 28 anni, durante i disordini seguiti a una partita di calcio. Esiste anche un’associazione, Stop Bales de Goma (formata dalle vittime) che ne chiede l’abolizione, data la messa a rischio della salute dei manifestanti e dei passanti, colpevoli solo di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Sembra che a Barcellona il 29 marzo anche un bambino sia stato colpito, fortunatamente in modo lieve, sulla coscia.
Mariano Rajoy non è certo un fascista: suo nonno Enrique, favorevole all’autonomia della Galizia dal Regno di Spagna, fu perseguitato durante la dittatura. Ma la tensione sociale, con cinque milioni di disoccupati e una rivolta di giovani indignados di difficile gestione, fa paura. Già a dicembre 2011 aveva destato stupore la sua decisione di far passare i servizi segreti (Cni, Centro Nacional de Inteligencia) dal ministro della Difesa al controllo della vice-premier Soraya de Santamaria, numero due dell’esecutivo, già braccio destro di Rajoy quando sedeva ai banchi dell’opposizione.
A febbraio si è svolta una manifestazione convocata dagli alunni di una scuola pubblica di Valencia, e in seguito a gravi disordini (alcuni ragazzini sono stati arrestati, altri feriti) il capo della polizia, Antonio Moreno, si è riferito a loro chiamandoli «nemici», in gergo militare. Quando ci si trova a varare riforme impopolari, la piazza fa paura.
Gli ultimi arresti preventivi hanno riguardato tre esponenti sindacali. C’è persino un sito con le foto di decine di persone, messo online dalla polizia catalana per chiedere ai cittadini di aiutarli a identificare i «responsabili della violenza urbana». Ovunque appaiono manifesti allusivi, che ricordano che le elezioni spagnole si sono svolte il 20 novembre, proprio nell’anniversario della morte di Francisco Franco. E l’esecutivo reagisce mandando segnali chiari ai movimenti che da mesi esprimono dissenso. Per bocca del ministro degli Interni, Jorge Fernandez Diaz, che ha annunciato la presentazione. entro il mese di giugno di un progetto di legge di modifica al codice penale. L’obiettivo? Evitare che si ripetano atti vandalici (cestini, cassonetti e macchine bruciate) come quelli di Barcellona. La riforma è destinata a indurire gli articoli che regolano i reati di ordine pubblico: chiunque sia sorpreso a svolgere azioni (cortei, sit-in) mirati a «alterare gravemente l’ordine pubblico» potrà essere accusato di «coinvolgimento in organizzazione criminale».
Social network compresi: dato che «le azioni di guerriglia urbana» si decidono spesso su Internet. La sanzione minima, ha spiegato il ministro (soprannominato “manganello” dagli indignados) sarà di due anni, «in modo che i pubblici ministeri possano chiedere la detenzione preventiva, e i giudici, nel caso, accordarla». Vengono considerate azioni di disordine pubblico anche gli ingressi in edificio pubblici («come nel caso di agenzie e università») e qualsiasi atto che produca danni, interruzioni o danni al regolare svolgimento «di qualsiasi servizio pubblico». Anche la resistenza alle forze dell’ordine, ed è il punto più controverso, dato che la resistenza passiva è proprio lo strumento che ha permesso al movimento degli Indignados di nascere (e anche per questo motivo il 12 e 15 maggio ci saranno manifestazioni in tutto il paese, a un anno dalle acampadas della Puerta del Sol a Madrid e a Barcellona).
Per ora si tratta solo di intenzioni, forse dettate dal nervosismo di un governo che vede crescere le proteste e calare i consensi. In ogni caso, si è ottenuto l’effetto contrario: un semplice annuncio è bastato a scatenare reazioni durissime. Sia da parte delle opposizioni di sinistra sia dagli esponenti dei movimenti, che hanno parlato senza mezzi termini di ritorno al franchismo. La Acampada Barcelona (gli indignados di Plaça Catalunya) in un volantino parla chiaramente di repressione «di tipo dittatoriale», e stigmatizza «chi invita alla delazione e la denuncia tra vicini, in puro stile fascista». I giuristi più progressisti sostengono che la riforma miri a criminalizzare un movimento, il15-M, che si dimostrato piuttosto pacifico. C’è anche chi evoca il Tribunale dell’Ordine Pubblico, di infausta memoria: «C’è solo un passo tra questa riforma ed il ripristino di quei tribunali di epoca franchista».
Secondo il ministro dell’Interno invece si tratta di un mero calcolo costi-benefici, e non è questo il momento «per fare del buonismo giuridico». Nel frattempo, su Twitter esplode l’indignazione per le misure annunciate, con l’hastag #holadictadura. Con punte di amarissimo sarcasmo: «Gandhi era un pericoloso sovversivo? Se fare una catena umana sarà considerato un attentato all’autorità, posso fare due passi con la mia ragazza sotto braccio o mi arrestate?»
Fonte: http://www.linkiesta.it/polizia-spagnola#ixzz1uNlQU4TL




Tratto da: La Spagna si agita e la polizia comincia a sparare | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/05/10/la-spagna-si-agita-e-la-polizia-comincia-a-sparare/#ixzz21NoJQzYR
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!


A Madrid leggi speciali contro l’insorgenza sociale: “li tratteremo come terroristi”


di Marco Santopadre -

Spaventato dalla determinazione di alcuni settori scesi in piazza il 29 marzo durante lo sciopero generale, il governo Rajoy promette di riformare il Codice Penale, equiparando i reati di resistenza e disobbedienza alle autorità a reati di terrorismo. Agli arresti durante lo sciopero si aggiungono quelli detenuti durante le manifestazioni contro la repressione.
Finora ad essere trattati con una legislazione emergenziale a parte erano stati quasi soltanto i militanti dei tanti movimenti politici, sociali e giovanili della sinistra basca colpiti da decenni da centinaia di arresti. Anni di galera per un manifesto appeso su un muro, per un blocco stradale, per uno slogan gridato durante la contestazione di qualche rappresentante istituzionale. Il paradosso era che se un gruppo di giovinastri ubriachi brucia un cassonetto dell’immondizia a Valladolid si dovrebbero sorbire la reprimenda da parte di qualche poliziotto e al massimo una multa, lo stesso gesto a Gasteiz o a Hernani costa una condanna per ‘guerriglia urbano’ e vari anni di galera ai protagonisti colpevoli di ‘kale borroka’. In pochi avevano avvertito che le leggi speciali applicate normalmente contro i baschi, e qualche volta contro alcuni movimenti radicali catalani e galiziani, non erano altro che la sperimentazione di un restringimento degli spazi democratici che prima o poi sarebbe stato applicato a tutti. La maggior parte in questi anni ha fatto spallucce, e non ha preso l’avvertimento sul serio, neanche tra i militanti di numerosi movimenti sociali e sindacali indipendenti e alternativi attivi nella cosiddetta ‘Spagna profonda’.
Ma ora i due pesi e le due misure applicati finora sulla base della nazionalità dell’accusato potrebbe saltare, applicando a tutti le leggi speciali naturalmente. La mobilitazione di natura semi-insurrezionale che ha scosso tutto il territorio dello Stato Spagnolo lo scorso 29 marzo, in occasione del partecipato e combattivo sciopero generale contro la finanziaria e la reforma laboral del governo di destra, potrebbe convincere i ‘poteri di fatto’ che governano a Madrid a fare il grande salto.
Pochi giorni fa il ministro degli Interni Jorge Fernández Díaz ha annunciato che il Codice Penale verrà presto adattato alla nuova situazione. In particolare coloro che verranno considerati colpevoli di atti di vandalismo saranno puniti con lo stesso metro di misura finora applicato ai militanti baschi accusati di “kale borroka”, cioè guerriglia urbana. Il che vuol dire 8-10 anni di carcere, e carcere duro, per chiunque all’interno di una manifestazione metta in pratica comportamenti finora più o meno tollerati o perseguiti con leggerezza. In particolare il PP vuole rendere più gravi reati come disobbedienza e resistenza a pubblico ufficiale. Ciò che ha fatto saltare sulla sedie i legislatori sono state in particolare le mobilitazioni in Catalogna e a Valencia, di lavoratori, giovani e addirittura studenti che non hanno rinunciato in varie occasioni a manifestare e a resistere con fronteggia menti, blocchi stradali e barricate improvvisate a una repressione della polizia che si è fatta sempre più selvaggia. Fernández Díaz ha detto che la Spagna non deve fare altro che elevare i suoi standard legislativi a paesi come la Francia o la Gran Bretagna. Come a cautelarsi da eventuali accuse di autoritarismo e giro di vite repressivo. Fernández Díaz ha in particolare avvisato che non permetterà che Barcellona si ‘trasformi nella capitale degli antisistema di tutta Europa” (!).
Intanto nel capoluogo catalano i fermi trasformati in arresti dal giorno dello sciopero generale sono diventati ormai otto mentre gli altri 27 sono stati denunciati a piede libero, comunque con pesanti accuse.
E come se non bastassero i manifestanti pestati e arrestati durante i picchetti o i cortei realizzati nel centro di Barcellona il 29 marzo, lunedì altri tre sono stati arrestati dai Mossos d’Esquadra durante una manifestazione convocata proprio per denunciare la tremenda repressione che ha preso di mira la mobilitazione dei lavoratori e dei movimenti di sinistra in Catalogna. Quando lunedì pomeriggio un corteo ha circondato il carcere di Modelo per chiedere la scarcerazione degli arrestati ed esprimere loro solidarietà e vicinanza, gli agenti della Polizia autonoma catalana hanno arrestato tre manifestanti, tra i quali addirittura uno in sedia a rotelle. José Miguel Esteban Lupiañez è stato sbalzato via dalla sua sedia a rotelle – che è rimasta abbandonata sul marciapiede – e trascinato via. Il viceispettore Jordi Arasa, che ha eseguito l’arresto, è noto per la sua tracotanza e spavalderia, ed è già stato denunciato per abuso di potere e violenza gratuita da 57 manifestanti feriti durante una carica dei Mossos contro una manifestazione il 27 maggio del 2011. Denuncia archiviata senza luogo a procedere, naturalmente. Intanto un manifestante continua ad essere ricoverato in un ospedale di Barcellona con due costole rotte e un polmone perforato, a causa dell’impatto sul suo petto di alcune pallottole di gomma sparate dai Mossos nel pomeriggio del 29 marzo nel centro della città a distanza ravvicinata.
Altro epicentro della selvaggia repressione del 29 marzo contro i lavoratori in sciopero e poi durante le giornate successive è stato il Paese basco, in particolare le città di Pamplona e Gasteiz. In quest’ultimo capoluogo è ancora ricoverato in condizioni gravi il giovane Xuban Nafarrete, colpito prima dagli agenti dell’Ertzaintza con i manganelli e poi raggiunto da una pallottola di gomma alla testa sparata da soli 4 metri. Sabato scorso, durante una grande manifestazione che nel centro della città era stata convocata dai sindacati, dai movimenti giovanili e dalla sinistra indipendentista per denunciare la repressione e la chiusura di ogni spazio di agibilità democratica, la PoliziaAutonomanon ha fatto altro che provocare e aggredire i manifestanti, operando altri arresti. Il sindacato indipendentista Lab ha denunciato che due suoi dirigenti nazionali, Berta Garcia e Oskar Cayon, sono stati arrestati invece a Pamplona durante lo sciopero generale solo perché accusati di aver lanciato della vernice contro la sede della Confindustria Navarra.
Chi pensava che con la fine della lotta armata dell’ETA la situazione nello Stato Spagnolo si sarebbe tranquillizzata non aveva fatto bene i suoi calcoli. C’è sempre un nemico da combattere e annichilire, a maggior ragione in tempi di crisi del capitalismo.
Fonte: http://www.contropiano.org/it/esteri/item/7976-a-madrid-leggi-speciali-contro-l%E2%80%99insorgenza-sociale-%E2%80%9Cli-tratteremo-come-terroristi%E2%80%9D




Sciopero generale: pioggia di arresti a Barcellona. Madrid: incatenarsi sarà reato


- Di Marco Santopadre -Contropiano -
Sei le persone arrestate in Catalogna per aver partecipato allo sciopero generale del 29 marzo scorso. Intanto il Partito Popolare al governo propone il reato di ‘resistenza passiva’, per punire con il carcere proteste simboliche come incatenarsi.
Una impressionante ondata repressiva si sta abbattendo sui due territori dello Stato Spagnolo che più massicciamente hanno risposto all’appello dei sindacati e delle organizzazioni politiche della sinistra a scioperare durante la mobilitazione generale dello scorso 29 marzo. Contemporaneamente alla retata che ha portato giovedì all’arresto di 14 persone nel territorio basco della Navarra, un’altra maxioperazione di Polizia veniva realizzata in Catalogna, anche in questo caso contro attivisti e giovani accusati di aver compiuto dei reati durante le manifestazioni e gli scontri che hanno caratterizzato lo sciopero generale.
A Barcellona e a Tarragona i Mossos d’Esquadra hanno arrestato sei persone, accusate di far parte di un gruppo che avrebbe incendiato una sede della multinazionale statunitense Starbucks e di aver saccheggiato il grande magazzino Corte Inglés, entrambi nella centralissima Ronda de Sant Pere di Barcellona. Quattro arresti erano già stati effettuati martedì a Camp del Turia, mentre durante le manifestazioni, i picchetti e gli scontri del 29 marzo erano stati alcune decine – circa 80 – i sindacalisti e i militanti di organizzazioni politiche e sociali fermati e arrestati.
In carcere da quel giorno ci sono ancora due studenti dell’Università di Barcellona e militanti dell’Associazione degli Studenti Progressisti, mentre un manifestante è stato arrestato per aver partecipato ad un blocco stradale. Duemila persone avevano già manifestato contro la repressione e per la liberazione degli arrestati lo scorso 14 aprile.
Immediatamente in diversi quartieri di Barcellona si sono svolte manifestazioni di solidarietà con gli arrestati, tra le quali un presidio davanti al tribunale. Per domani alle 18 un corteo cittadino è stato convocato da Placa de Catalunya. Altre iniziative sono convocate a Tarragona e Girona.
Scrivono in un comunicato i promotori della mobilitazione: “Denunciamo la repressione scatenata a Barcellona e lo smisurato dispositivo giudiziario, che in accordo al previsto indurimento del codice penale ha cominciato ad applicare la legislazione antiterrorista anche a presunti reati di semplice vandalismo, con l’isolamento e la prigione preventiva imposti a persone improvvisamente private del diritto alla difesa che violano la presunzione d’innocenza, oltre che una cauzione di 3000€ imposta ad alcune compagne fermate”.
Secondo le organizzazioni sociali e sindacali che hanno convocato la manifestazione di solidarietà l’ondata di arresti mirerebbe a frenare la mobilitazione già prevista per il prossimo 3 di maggio, quando i rappresentanti della Banca Centrale Europea si riuniranno proprio a Barcellona.
Prosegue così a tappe forzate il progetto del Partido Popular al governo a Madrid, spalleggiato dai partiti che rappresentano gli interessi della borghesia catalana e basca, di inasprire le norme a disposizione contro le proteste sociali e sindacali sempre più diffuse.
Di ieri la notizia che secondo il progetto di riforma del Codice Penale presentato dal governo Rajoy sarà considerato reato anche incatenarsi in qualche luogo pubblico e forme di protesta simili che mirano semplicemente ad attirare l’attenzione dei media e a rallentare le operazioni di sgombero da parte delle forze di Polizia, e che in nessun caso rappresentano una minaccia per chiunque. Il provvedimento rientra nell’intenzione da parte del governo di aprire un fronte legislativo contro la cosiddetta resistenza passiva.
Incatenarsi sarà considerato ‘attentato all’autorità’ al pari di un’aggressione ad un agente di Polizia, anche se – ha chiarito il segretario di Stato per la Sicurezza Ignacio Ulloa – la pena sarà minore. Previste pene detentive anche nei casi di manifestazioni non autorizzate, permanenza in una piazza o in una strada nonostante l’ordine di disperdersi da parte delle forze dell’ordine ecc. “Non è pensabile che poche persone decidano di impossessarsi di una strada pregiudicando i diritti del resto dei cittadini” è il commento di Ulloa che poi ha aggiunto: “Non stiamo parlando semplicemente di comportamenti renitenti all’esercizio dell’autorità, ma di comportamenti recalcitranti, che cercano di minare lo stesso principio di autorità a beneficio delle proprie convinzioni”.


Tratto da: Sciopero generale: pioggia di arresti a Barcellona. Madrid: incatenarsi sarà reato | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/04/22/sciopero-generale-pioggia-di-arresti-a-barcellona-madrid-incatenarsi-sara-reato/#ixzz21NpexMFM
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Anonymous: Messaggio per il popolo italiano.


Comunicazione diretto al popolo italiano:
Salve popolo italiano, siamo Anonymous.
Per chi ancora non ci conosce: noi siamo persone come voi, persone che vivono in un sistema corrotto e schiavista, persone che ogni giorno tirano avanti tra mille difficoltà.
Anonymous è un gruppo che viene e che nasce da internet, siamo uniti da un forte ideale che ci accomuna, un ideale che ha come bandiera la libertà la giustizia e l'umanità, parole che col tempo hanno perso significato, ma siamo qui per far rivivere quelle parole.
Su internet si possono trovare diverse notizie di attacchi informatici recati ai danni di grandi multinazionali e governi, ma noi non siamo solo hacker, siamo anche attivisti pronti a scendere in strada per un vero cambiamento.
In diversi stati, come Inghilterra, Stati uniti, Spagna, Giappone e in molti altri, le persone protestano contro lo schiavismo monetario che ci incatena, protestano per un futuro migliore per noi e per le prossime generazioni.
Anche in Italia il movimento è cresciuto, e ci siamo fatti sentire su internet con diversi attacchi, ma non basta... Abbiamo come obbiettivo il cambiamento, diversi scioperi, occultati dai media, continuano a fiorire in Italia, questo ci fa capire come l'italiano sta acquistando coscienza.
Se trovi ingiusto questo sistema, se vuoi bloccare tutto questo scempio, se vuoi diventare il cambiamento, se vuoi tutto questo allora sei un Anonymous.
Uniti siamo una forza incontrastabile, noi siamo il 99%, abbiamo la forza di interrompere questo sistema, ma per farlo ci vuole unità.
I politici e i grandi banchieri questo lo sanno e ci hanno tenuto divisi, ora è il momento di cambiare, un mondo migliore esiste bisogna solo crearlo, un mondo dove il profitto monetario viene per ultimo, e dove la vita di ogni singola persona viene per prima.
Noi siamo Anonymous.
Noi siamo una Legione.
Noi non dimentichiamo.
Noi non perdoniamo.
Aspettaci.

CRISI: cosa sta succedendo..Grecia,Spagna.Italia...mondo WAKE UP

di Lidia Undiemi
http://www.youtube.com/watch?v=qtKzetYMljg&feature=em-subs_digest


 Rischiamo di finire come la Grecia, dove la Troika, in cambio di aiuti finanziari, ha posto tutta una serie di politiche di austerità, di taglio dei dipendenti, di riduzione delle pensioni che non sono aiuti, ma un mero scambio di natura finanziaria. Cioè: danno del denaro a uno Stato, il quale in cambio cede loro la sovranità, e poi saranno loro ad imporre al popolo tutta una serie di condizioni insopportabili, soprattutto per le fasce più deboli.
 Bene, adesso anche gli italiani rischiano di ritrovarsi come i greci. Infatti un passaggio fondamentale del trattato MES dice espressamente che uno Stato che intenda chiedere un prestito al cosiddetto fondo salva stati (il MES, appunto) deve sottostare a condizioni molto rigorose. Non abbiamo sentito né un parlamentare nazionale né uno comunitario riferire al popolo italiano i dettagli di questo trattato, nonostante già di per sé preveda un vincolo di 125 miliardi di euro che influenzerà giocoforza le nuove generazioni nonché le politiche di ogni futuro governo. Nessuno, nessuno ha voluto chiedere alle istituzioni competenti dei chiarimenti, per poi riferire ai cittadini.


Per tale ragione abbiamo lavorato tanto, in rete. Personalmente ho lanciato una iniziativa, tesa soprattutto a sensibilizzare l'opinione pubblica. Per fortuna la società civile ha mostrato grande impegno e lucidità, consentendo alla denuncia di una singola studiosa di diventare una battaglia nazionale. Adesso è arrivato il momento, anche per il singolo cittadino, di partecipare attivamente contro questo tipo di politica europea che mira, sostanzialmente, a togliere la sovranità politica alle singole nazioni. Per tali ragioni ho realizzato un volantino, che contiene le indicazioni di base per riuscire a far comprendere l'argomento, o quanto meno per sensibilizzare i singoli cittadini. Sul retro del volantino troverete una serie di domande da fare alla classe politica italiana, tra cui ad esempio: "In cosa si tradurrando le condizioni rigorose contenute nel trattato, per il popolo italiano?". Questo è uno dei punti fondamentali da sciogliere. E visto ciò che è accaduto in Grecia, dubito che si tratti di condizioni migliorative per la collettività.


Fra le altre domande, proprio perché siamo nel periodo intermedio tra la strage di Capaci e quella di via D'Amelio, voglio fare una domanda a tutti i "professionisti dell'Antimafia", senza alcuna polemica (ndr: non mi riferisco alla magistratura per la quale nutro grandissimo rispetto). Poiché il MES farà ricorso al mercato finanziario esterno, per potere soddisfare le richieste di prestito, in che modo gli stati saranno protetti dal rischio di ingerenza dei capitali sporchi nelle operazioni finanziarie? Il dubbio sorge in relazione al fatto che, in un periodo di grave crisi in cui lo Stato è indebolito dal punto di vista economico-finanziario - ma direi anche istituzionale -, nel momento in cui lo Stato debitore si rivolge a questa organizzazione e questa, tra immunità e inviolabilità dei documenti, si pone in qualche modo da intermediario nei confronti dei finanziatori esterni, in operazioni finanziarie di carattere internazionale enormi e in uno stato di diritto sempre meno funzionante, chi ci garantisce che di fatto non si avrà una svendita degli stati nei confronti di organizzazioni finanziarie esterne, facenti riferimento ad organizzazioni criminali o meno? Ma in ogni caso, prima di vincolare l'attuale Governo, le future legislazioni e le future generazioni a pagare 125 miliardi di euro e a condividere le decisioni di politica interna con questa organizzazione finanziaria, perché nessuno vuole discuterne, nessuno dei parlamentari dei partiti di destra, di sinistra, grandi e piccoli, ipocriti e meno ipocriti? Su questi aspetti sono tutti d'accordo! Io mi sento priva di rappresentanza in Italia e credo che in questo Paese attualmente non ci sia una opposizione al Governo delle banche. L'articolo 15 del trattato MES prevede che il consiglio dei governatori dell'Organizzazione può decidere - attenzione a questo passaggio - di concedere assistenza finanziaria a un membro del MES ricorrendo a prestiti con l'obiettivo specifico di ricapitalizzare le istituzioni finanziarie dello stesso membro. Prestiti provenienti da organizzazioni esterne o private. Noi questo non lo dobbiamo, non possiamo permettercelo. Non abbiamo tanto tempo, perché siamo stati indifferenti troppo a lungo.


 Viviamo in un sistema sociale e politico marcio. Basta pensare alle dichiarazioni del presidente della Corte dei Conti, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2011, in cui è stato messo in evidenza come le privatizzazioni e le esternalizzazioni si sono ridotte a un mezzo per la gestione clientelare del potere politico amministrativo. Cioè la nostra pubblica amministrazione non è completamente rivolta verso il bene comune, bensì verso interessi ed affari privati. Pensate a tutti gli scandali politici che stanno uscendo, da destra a sinistra. Anche il Fondo Monetario Internazionale, che si ingerisce mediante Monti delle decisioni di politica interna, volendo ancora una maggiore flessibilizzazione del mercato del lavoro (quando sappiamo che questo strumento ha fallito ormai da diversi anni), ora spinge per le privatizzazioni. Adesso la soluzione sarebbe dunque questa, per porre rimedio alla grande crisi? La svendita del patrimonio pubblico? Qui siamo alla follia! Uno Stato senza patrimonio pubblico non è uno Stato. Non può garantire i propri cittadini, non può tutelarli. Vogliono la nostra identità!


 I trattati ESM e Fiscal Compact necessitano dell'autorizzazione del Parlamento. Cioè è necessaria l'autorizzazione alla ratifica. Dunque si invertono completamente i rapporti tra il Governo e i parlamentari, perché da un lato abbiamo questa Europa, rappresentata da Mario Monti, che vuole a tutti i costi ulteriore cessione di sovranità da parte dello Stato italiano (in questo caso mediante questi due trattati), mentre dall'altro i nostri parlamentari hanno un potere enorme, in quanto saranno loro a decidere se concedere o meno l'autorizzazione alla ratifica. Ora, immaginate per un attimo questo potere spropositato nelle mani di un Parlamento che si è dimostrato di fatto incapace di portare l'Italia verso uno sviluppo virtuoso, con i parlamentari appartenenti a partiti politici soggetti a continui scandali. Ma davvero voi volete far sì che a decidere il futuro delle nuove generazioni siano questi soggetti, che siano cioè loro a ratificare trattati di una importanza gigantesca per la sopravvivenza del nostro stato di diritto? E' possibile accettare tutto questo? E sono tutti d'accordo!


Una notizia importantissima, arrivata in questi giorni dalla Germania, è che la Corte tedesca ha fatto slittare la ratifica dei trattati poiché i verdi si sono opposti. L'hanno fatto perché non c'era stato un adeguato dibattito e approfondimento in Parlamento. Il secondo portavoce del partito di sinistra, Linke, ha annunciato che se il Parlamento concederà l'autorizzazione alla ratifica sottoporrà alla valutazione della Corte Costituzionale una serie di profili di illegittimità. Al di là di come andrà a finire, quantomeno in Germania un minimo di dibattito politico, un minimo di opposizione contro il Governo delle banche, c'è! Noi qui invece abbiamo questi giornali, questi mezzi di informazione che tengono in sala di rianimazione dei partiti che sono morti, ma che purtroppo oggi hanno ancora un potere enorme. E i primi a gridare contro l'informazione di regime sono proprio quelli che oggi ne stanno approfittando. Non dimenticatelo in futuro. Abbiate memoria di ciò che sta accadendo.


Quindi vi invito a divulgare il più possibile il volantino che potete trovare su www.crisiesoluzioni.it. Soprattutto ora che è periodo di elezioni e tutti questi politici silenti se ne andranno in giro a fare campagna elettorale per se stessi, per i propri amici o per i propri candidati. Ponete loro le domande contenute nel volantino. Soprattutto diffondetelo presso i vostri concittadini, i vostri amici, i vostri parenti, i vostri conoscenti, in qualsiasi occasione anche durante le vacanze. Parlate a tutti del MES. E mi riferisco anche alla società civile, ai movimenti, alle associazioni: dovete cogliere tutte le occasioni, dovete mettervi in prima fila per difendere il nostro Stato rispetto a queste scellerate cessioni di sovranità, dove il popolo è stato completamente tagliato fuori. Attenzione, non per colpa di Monti, ma per colpa dei nostri parlamentari nazionali ed europei che non stanno dicendo assolutamente nulla sull'argomento.


Per scaricare il volantino: www.crisiesoluzioni.it.
DA BYOBLU.COM
di Lidia Undiemi
La Merkel ottiene l’autorizzazione alla ratifica dei trattati Esm e Fiscal Compact, ma i tedeschi non ci stanno e si rivolgono alla Corte Costituzionale.
Si preannuncia una storica battaglia per la difesa della Costituzione che inevitabilmente attraverserà i confini nazionali poiché l’eventuale parere negativo della Corte tedesca annullerebbe l’entrata in vigore dell’organizzazione Esm anche nelle altre 16 nazioni, compresa l’Italia.
Migliaia di cittadini, ma anche parlamentari ed ex rappresentanti di alte cariche istituzionali si stanno opponendo a questa Europa fondata sulla finanza, sulla riduzione dei diritti e sulla concentrazione del potere in mano a poche persone.
Non esiste la Germania “cattiva” e nemmeno l’Italia “buona”. Esistono centri di interesse basati sul raggiungimento di determinati obiettivi che non possono essere spiegati mediante una superficiale selezione territoriale. La difesa della propria Costituzione e dei diritti dei cittadini è interesse comune di gran parte dei tedeschi e degli italiani, così come Merkel e Monti (compresi i nostri parlamentari) mirano a raggiungere lo scopo della unificazione politica in favore dei poteri “forti” mediante la riduzione progressiva della sovranità popolare. Questa è una grande lezione di vita “politica” che non dobbiamo dimenticare se vogliamo veramente ridare dignità al nostro spirito collettivo.
Ciò che non deve sfuggirvi, inoltre, è che anche rappresentanti istituzionali si stanno opponendo a questo sistema schierandosi dalla parte dello Stato e dei cittadini, cosa che in Italia non sta accadendo.
Non è una esagerazione affermare che a livello istituzionale nazionale la difesa del popolo italiano contro i trattati Esm e Fiscal Compact è attualmente portata avanti da rappresentanti tedeschi.
In Italia abbiamo lanciato appelli ai parlamentari, nazionali e comunitari, per chiedere spiegazioni. Nessuna risposta, atteggiamento inaccettabile ma sicuramente utile perché adesso è possibile vedere con estrema chiarezza quanto sia inconsistente l’opposizione italiana, teatrini televisivi a parte.
Nonostante ciò abbiamo continuato a sostenere “dal basso” la difesa dello Stato, e state certi che anche qui cercheremo di sollevare questioni di legittimità costituzionale se il Parlamento concederà l’autorizzazione alla ratifica.
Stiamo sperimentando una nuova Italia, non fermiamoci.
Fra le fonti vedi: http://www.agenzianova.com/a/4ff16b5ead6c39.43893369/663253/2012-07-02/finestra-sul-mondo-germania-fondo-salva-stati-e-fiscal-compact-al-vaglio-della-corte-costituzionale


La lezione di J.Stiglitz a Mario Monti
http://www.youtube.com/watch?v=FLaF9c1ZPTQ&feature=related


Il Grande Golpe Globale - chi sono Mario Monti e Luca Papademos?
http://www.youtube.com/watch?v=HtMi-mcYyl4&feature=related


SPAGNA, CRISI: SCONTRI A MADRID PER TAGLIO SUSSIDI AI MINATORI
http://www.youtube.com/watch?v=sP2SDNpAnfw


I devastanti effetti della crisi in Grecia
http://www.youtube.com/watch?v=rW4JizHygLM

E' macelleria sociale: approvato il Fiscal Compact


Poche ore fa, l’Assemblea ha approvato la ratifica del cosiddetto fiscal compact, ossia il trattato che introduce i meccanismi di stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria, e che mira – così si dice – «a salvaguardare la stabilità di tutta la zona Euro».
In realtà, dubbi ed incertezze sulla bontà del “fiscal compact” sono stati espressi in tutta Europa: la Germania per prima ha rinviato l’approvazione del trattato, e sarà la Corte Costituzionale a decidere, il prossimo 12 settembre, se il fondo di salvataggio (ndr: il trattato Mes) ed il patto fiscale europeo potranno entrare in vigore. In Italia, invece, si è assistito ad un “allineamento” non solo degli organi di stampa – che evitano quasi di dare notizia dell’avvenuta approvazione – ma dello stesso Parlamento, il quale ha ratificato, senza discussione, senza neppure che sia stato necessario al Governo porre la questione di fiducia, il Trattato: maggioranza bulgara oggi alla Camera, 368 sì contro 65 no. In Italia tutto accade ormai in un’atmosfera grigia e silenziosa, quasi spettrale.

Ma cosa significa l’approvazione del “fiscal compact”? Il “patto” prevede che i Paesi che detengono un debito pubblico superiore al 60% del PIL di rientrare entro tale soglia nell'arco di 20 anni, ad un ritmo pari ad un ventesimo dell'eccedenza in ciascuna annualità. Gli Stati si obbligano a mantenere il deficit pubblico sempre sotto al 3% del PIL, a pena di sanzioni. Tutto ciò significa né più né meno la semplice rinuncia ad ogni possibilità di intraprendere una politica fiscale capace di stimolare la domanda. Significa condannarsi ad una rigidità ulteriore di politica economica che va ad aggiungersi a quella del cambio fisso dettato dalla moneta unica. L’Italia, la nazione prima al mondo per pressione fiscale, si impegna oggi a sostenere 50 miliardi di Euro all’anno di tasse e tagli per 20 anni. Rispettare parametri fiscali sempre più rigidi e stringenti, rinunziando ad ogni spazio possibile di manovra, vorrà dire dover imporre agli italiani, per i prossimi vent’anni, un regime di austerità radicale: si colpiranno ancora salari, stipendi e prestazioni del Welfare, si aggraveranno le condizioni di vita delle classi sociale medio-basse, si assisterà a nuove tasse. Gli italiani devono sapere che il prezzo imposto dall’Europa è una macelleria sociale: tagli dappertutto, dalla sanità alla scuola, dall’università ai trasporti.

Tutto questo avviene, ed avverrà, senza alcuna consultazione diretta o indiretta del popolo italiano, ma unicamente per rispettare decisioni prese al di fuori del Paese. Siamo passati senza accorgercene da un sistema politico democratico ad un sistema oligarchico, in cui il Governo è nelle mani di un gruppo di “tecnici” che rappresentano interessi esterni. Il Parlamento obbedisce, senza neppure un minimo accenno di protesta. Il Paese è stato “pacificato”: niente più aspri scontri politici, disinteresse diffuso per la politica, tensione sociale apparentemente sotto controllo. Eppure si annuncia, per i prossimi vent’anni, una sanguinosa e violenta “economia di guerra”: la guerra senza guerra, ossia la più terrificante delle possibilità.


DA: BYOBLU.COM

sabato 21 luglio 2012

Mettete i banchieri dietro le sbarre

Alcune grandi banche sono al centro di un mega scandalo per aver truccato i tassi d'interesse mondiali, rubando milioni di euro ai cittadini sui loro mutui, prestiti d'onore e molto altro! Noi finiremmo in carcere in un attimo, mentre la Barclays dovrà soltanto pagare una multa che corrisponde a una minuscola parte dei suoi profitti! L'indignazione sta crescendo: è la nostra opportunità per mettere fine allo strapotere delle banche sulle nostre democrazie.

Il Commissario europeo per il mercato Michel Barnier ha alzato la testa contro la potente lobby dell! e banche e vuole promuovere una riforma che metterebbe dietro le sbarre i banchieri che commettono frodi come questa. Se l'Ue facesse il primo passo, poi tutto il mondo potrebbe seguire. Ma le banche hanno alzato le barricate, e soltanto un'ondata di persone che si battono per il cambiamento può far passare queste riforme.

Se nel giro di 3 giorni saremo 1 milione di persone dalla parte di Barnier, questo appoggio gli darà la forza necessaria per smascherare la lobby delle banche e spingere i nostri governi a portare a casa la riforma. Clicca sotto per firmare e i nostri numeri crescenti saranno rappresentati di fronte al Parlamento europeo dalla messa in scena di banchieri dietro le sbarre:
http://www.avaaz.org/it/bankers_behind_bars_f/?tLFfhdb

Ancora non si conosce la reale portata dello scandalo, ma quello che sappiamo è sconvolgente: sono coinvolte "diverse" fra le più importa! nti banche, e la manipolazione del tasso d'interesse Libor, il tasso sul quale si formano molti dei tassi d'interesse nel mondo, ha avuto conseguenze su centinaia di trilioni di dollari d'investimento. La Barclays da sola ha ammesso di aver commesso questa frode "centinaia" di volte.

Per troppo tempo ormai i nostri governi sono stati intimiditi da potenti banche che minacciavano di abbandonare il paese qualora fossero state adottate regole più stringenti. Per troppo tempo ormai le banche hanno manipolato i nostri mercati in loro favore, imbarcandosi in operazioni rischiose sicuri com'erano che se le cose fossero andate storte avrebbero costretto i governi a mettere a disposizione i nostri soldi pubblici.

Il sistema è truccato, e questo è un crimine. E' arrivato il momento di mettere i criminali dietro le sbarre. Cominciamo dall'Europa, e cominciamo ora:

http://www.avaaz.org/it/bankers_behind_bars_f/?tLFfhdb

Forse non c'è mai stato un momento nella storia moderna in cui le grandi banche non avessero un potere eccessivo di cui hanno abusato. Ma le nostre democrazie si stanno ribellando: lo abbiamo visto contro i tiranni in giro per il mondo, e insieme possiamo aiutare a mettere fine anche allo strapotere delle banche.

Con speranza,

Ricken, Iain, Alex, Antonia, Giulia, Luis e tutto il team di Avaaz

Più informazioni:

Scandalo Libor, Barnier: faremo regole più rigide per le banche (Il Sole 24 Ore)
http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-07-08/scandalo-libor-barnier-faremo-203303.shtml?uuid=AbVqBu4F

Rabbia di Londra contro Barclays: ad lascia con "solo" 3 milion! i di dollari (Wall street Italia)
http://www.wallstreetitalia.com/article/1408255/rabbia-di-londra-contro-barclays-ad-lascia-con-solo-3-milioni-dollari.aspx

Fare banca truccando le carte (La Repubblica)
http://www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2012/07/09/news/fare_banca_truccando_le_carte-38784415/

Lo scandalo Barclays travolge la City (Il Giornale)
http://www.ilgiornale.it/news/economia/scandalo-barclays-travolge-city.html

Il cuore marcio della finanza: lo scandalo sui tassi d'interesse sta per diventare mondiale [EN] (Economist)
http://www.economist.com/node/21558281

La riforma delle banche dopo lo scandalo Libor [EN] (Financial Times)
http://blogs.ft.com/martin-wolf-exchange/2012/07/02/banking-reforms-after-the-libor-scandal/#axzz1zY8LnZHS

martedì 10 luglio 2012

Trasformare la plastica in benzina: l’invenzione di Akinori Ito



Oggi scopriamo la figura di Akinori Ito, l’inventore Giapponese della Blest machine: una piccola macchina trasportabile, quasi un elettrodomestico, che riesce a riciclare la plastica trasformandola in petrolio (benzina, diesel o kerosene).
http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=WQQcm0auP1s

PLASICA BIO: da Tutto green

Minerv: la plastica bio della BioOn nasce in Italia e dagli skipass…

di Claudia Raganà il 10 luglio 2012 ·
Nasce nella pianura padana la prima plastica “pulita”, un polimero di nome Minerv e non dalla mente di un chimico, né dai tentativi di un ricercatore, ma dalla curiosità di un lungimirante grafico pubblicitario. Marco Astori, nella sua azienda, produceva skipass, immettendo così enormi quantità di plastica nell’ambiente, che veniva abbandonata da sciatori con scarso senso civico. Da qui è partito per comprendere come arginare questo problema.
Numerose ricerche su internet lo hanno portato a scovare (e comprare) importanti brevetti per la produzione di una speciale plastica derivata dal melasso, uno scarto della lavorazione dello zucchero.

Lezione 1: come uno “scarto” può diventare una risorsa preziosa.
Il processo di produzione dal melasso, in sintesi, prevede di “affamare” e poi ingrassare i batteri; il grasso prodotto diventa polvere, che genera la plastica. Questo processo di produzione viene rimesso in piedi a quasi 80 anni dalla scoperta della molecola PHA (nel 1926!); anni durante i quali l’uso del petrolio è stato giudicato più efficiente ed economico, in tempi in cui l’impatto ambientale non aveva alcun peso.
Il team dei due soci Astorri e Cicognani, è riuscito a creare il primo polimero PHA con proprietà molto simili al policarbonato: il Minerv. Il polimero ha ottenuto anche la certificazione a livello internazionale, come elemento biodegradabile sia in terra, che in acqua dolce e salata (in 10 giorni Minerv si dissolve in acqua senza lasciare traccia).
Lezione 2: come creare un impianto produttivo a km zero, sfruttando le caratteristiche del territorio.
Lo startup di BioOn, l’impianto produttivo del Minerv, non ha richiesto impiego di capitali pubblici né coinvolgimento delle banche. Sfruttando il tessuto economico circostante, infatti, Astorri ha stretto un accordo con la cooperativa agricola emiliana, produttrice del 50% dello zucchero italiano e del prezioso melasso. Tutto è nelle mani dei contadini, che sono gli stessi ad alimentare l’impianto con la materia prima. I due soci prevedono di replicare questo schema anche all’estero, in Europa e negli Stati Uniti.
Minerv ha già fatto il suo debutto al Salone del Mobile, riscuotendo un importante successo; i “genitori” di BioOn sono pronti a scommettere che presto Minerv sarà utilizzato per ogni genere di prodotto, dagli occhiali da sole alle confezioni delle merendine, passando per pc e televisori.
Lezione 3: ancora una volta l’Italia è protagonista di eccellenti scoperte.
Leggi anche:

a proposito di BANCHE

Roubini: nel 2013 banchieri avidi “impiccati nelle strade


Banchieri avidi. Lo sono sempre stati. Nulla cambierà a meno di sanzioni legali. Il problema spread continuerà a intensificarsi. Necessaria una monetizzazione illimitata e non sterilizzata da parte della Banca centrale europea. Purtroppo impossibile. Ecco che il 2013 sarà un altro anno difficile, con la possibilità che si abbatta una “tempesta perfetta globale”: crollo dell’Eurozona, nuova recessione negli Stati Uniti, guerre in Medio Oriente, pesante crollo della crescita in Cina e nei grandi mercati emergenti.

Questa la visione pessimista del noto professore di economia Nouriel Roubini. Dr. Doom è tornato.
“Nulla è cambiato dalla crisi finanziaria. Gli incentivi per le banche sono per agire in modo truffaldino – fare cose che sono o illegali o immorali. L’unico modo per evitare questo è rompere questo grande supermercato finanziaro. Non ci sono muraglie cinesi e massicci conflitti di interesse“.
I banchieri
“I banchieri sono avidi – lo sono stati per 1000 anni”.
Sulle sanzioni
“Dovrebbero esserci sanzioni penali. Nessuno è andato in prigione sin dalla crisi finanziaria globale. Le banche fanno cose che sono illegali e nel migliore dei casi vengono schiaffeggiate con una multa. Se alcune persone finiscono in carcere, forse sarà una lezione per qualcuno – o qualcuno verrà impiccato per le strade”.
Banche troppo grandi per fallire
“Ci sono più conflitti di interesse oggi di quattro anni fa. Le banche erano già troppo grandi per fallire, ora sono ancora più grandi. Le cose vanno peggio – non migliorano”.
Sul Summit Ue
“Il vertice è stato un fallimento. I mercati si aspettavano molto di più. O si ha una qualche sorta di debito comune (per ridurre lo spread), o si ha una monetizzazione del debito da parte della BCE, o il bazooka dei fondi EFSF / ESM deve essere quadruplicato – altrimenti gli spread su Italia e Spagna salterebbero in aria giorno dopo giorno. In caso contrario si avrà un’altra crisi più grande non in sei mesi da oggi, ma nelle prossime due settimane”.
Sulla Bce che salva il mondo
“Il solo ente capace di fermare questo è la BCE, che ha bisogno di fare una vera e propria monetizzazione non sterilizzata in quantità illimitata, che è politicamente scorretto da dire e costituzionalmente illegale da fare”.
Sul debito in comune
“Non è solo la Germania a dimostrarsi un paese forte, ma anche altri principali tra cui i Paesi Bassi, Austria e Finlandia. La Finlandia non vuole nemmeno accettare la mutualizzazione indiretta delle passività (fondi EFSF / ESM)”.
Trascinarsi i problemi
“Entro il 2013 la capacità dei politici di rimandare le soluzioni ai problemi diminuirà, e nella zona euro il treno non deraglierà più a rilento, ma a grande velocità. Gli Stati Uniti sembrano vicini a una fase intermedia tra stallo della crescita e recessione economica. La Cina sembra prossima a quanto definito un atterraggio duro, mentre i grandi emergenti (BRIC: Brasile, Russia, India e Cina) registrano un forte calo della crescita. E infine c’è il pericolo di una possibile guerra tra Israele, Stati Uniti e Iran – che raddoppierebbe il prezzo del petrolio nel giro di una sola notte”.
Il 2013 sarà peggio del 2008
“Peggio perché come nel 2008 ci sarà una crisi economica e finanziaria, ma a differenza del 2008 si è a corto di contromisure. Nel 2008 si potevano tagliare i tassi di interesse, fare QE1, QE2, varie misure di stimolo fiscale, e tanto altro. Oggi i QE stanno diventando sempre meno efficaci perché il problema è di solvibilità, non di liquidità. I disavanzi di bilancio sono già troppo grandi e non è possibile salvare le banche, perché 1) c’è una forte opposizione politica, e 2) i governi sono prossimi a essere insolventi – non possono salvarsi da soli, figuriamoci salvare le banche. Il problema è che siamo a corto di conigli da tirare fuori dal cappello”.

Tratto da: Roubini: nel 2013 banchieri avidi “impiccati nelle strade” | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/07/10/roubini-nel-2013-banchieri-avidi-impiccati-nelle-strade/#ixzz20FMoVkfs
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!

Dr. Doom



Published: August 15, 2008
On Sept. 7, 2006, Nouriel Roubini, an economics professor at New York University, stood before an audience of economists at the International Monetary Fund and announced that a crisis was brewing. In the coming months and years, he warned, the United States was likely to face a once-in-a-lifetime housing bust, an oil shock, sharply declining consumer confidence and, ultimately, a deep recession. He laid out a bleak sequence of events: homeowners defaulting on mortgages, trillions of dollars of mortgage-backed securities unraveling worldwide and the global financial system shuddering to a halt. These developments, he went on, could cripple or destroy hedge funds, investment banks and other major financial institutions like Fannie Mae and Freddie Mac.

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Bruce Gilden

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Letters: Dr. Doom (August 31, 2008)

The audience seemed skeptical, even dismissive. As Roubini stepped down from the lectern after his talk, the moderator of the event quipped, “I think perhaps we will need a stiff drink after that.” People laughed — and not without reason. At the time, unemployment and inflation remained low, and the economy, while weak, was still growing, despite rising oil prices and a softening housing market. And then there was the espouser of doom himself: Roubini was known to be a perpetual pessimist, what economists call a “permabear.” When the economist Anirvan Banerji delivered his response to Roubini’s talk, he noted that Roubini’s predictions did not make use of mathematical models and dismissed his hunches as those of a career naysayer.
But Roubini was soon vindicated. In the year that followed, subprime lenders began entering bankruptcy, hedge funds began going under and the stock market plunged. There was declining employment, a deteriorating dollar, ever-increasing evidence of a huge housing bust and a growing air of panic in financial markets as the credit crisis deepened. By late summer, the Federal Reserve was rushing to the rescue, making the first of many unorthodox interventions in the economy, including cutting the lending rate by 50 basis points and buying up tens of billions of dollars in mortgage-backed securities. When Roubini returned to the I.M.F. last September, he delivered a second talk, predicting a growing crisis of solvency that would infect every sector of the financial system. This time, no one laughed. “He sounded like a madman in 2006,” recalls the I.M.F. economist Prakash Loungani, who invited Roubini on both occasions. “He was a prophet when he returned in 2007.”
Over the past year, whenever optimists have declared the worst of the economic crisis behind us, Roubini has countered with steadfast pessimism. In February, when the conventional wisdom held that the venerable investment firms of Wall Street would weather the crisis, Roubini warned that one or more of them would go “belly up” — and six weeks later, Bear Stearns collapsed. Following the Fed’s further extraordinary actions in the spring — including making lines of credit available to selected investment banks and brokerage houses — many economists made note of the ensuing economic rally and proclaimed the credit crisis over and a recession averted. Roubini, who dismissed the rally as nothing more than a “delusional complacency” encouraged by a “bunch of self-serving spinmasters,” stuck to his script of “nightmare” events: waves of corporate bankrupticies, collapses in markets like commercial real estate and municipal bonds and, most alarming, the possible bankruptcy of a large regional or national bank that would trigger a panic by depositors. Not all of these developments have come to pass (and perhaps never will), but the demise last month of the California bank IndyMac — one of the largest such failures in U.S. history — drew only more attention to Roubini’s seeming prescience.
As a result, Roubini, a respected but formerly obscure academic, has become a major figure in the public debate about the economy: the seer who saw it coming. He has been summoned to speak before Congress, the Council on Foreign Relations and the World Economic Forum at Davos. He is now a sought-after adviser, spending much of his time shuttling between meetings with central bank governors and finance ministers in Europe and Asia. Though he continues to issue colorful doomsday prophecies of a decidedly nonmainstream sort — especially on his popular and polemical blog, where he offers visions of “equity market slaughter” and the “Coming Systemic Bust of the U.S. Banking System” — the mainstream economic establishment appears to be moving closer, however fitfully, to his way of seeing things. “I have in the last few months become more pessimistic than the consensus,” the former Treasury secretary Lawrence Summers told me earlier this year. “Certainly, Nouriel’s writings have been a contributor to that.”
On a cold and dreary day last winter, I met Roubini over lunch in the TriBeCa neighborhood of New York City. “I’m not a pessimist by nature,” he insisted. “I’m not someone who sees things in a bleak way.” Just looking at him, I found the assertion hard to credit. With a dour manner and an aura of gloom about him, Roubini gives the impression of being permanently pained, as if the burden of what he knows is almost too much for him to bear. He rarely smiles, and when he does, his face, topped by an unruly mop of brown hair, contorts into something more closely resembling a grimace.
When I pressed him on his claim that he wasn’t pessimistic, he paused for a moment and then relented a little. “I have more concerns about potential risks and vulnerabilities than most people,” he said, with glum understatement. But these concerns, he argued, make him more of a realist than a pessimist and put him in the role of the cleareyed outsider — unsettling complacency and puncturing pieties.
Roubini, who is 50, has been an outsider his entire life. He was born in Istanbul, the child of Iranian Jews, and his family moved to Tehran when he was 2, then to Tel Aviv and finally to Italy, where he grew up and attended college. He moved to the United States to pursue his doctorate in international economics at Harvard. Along the way he became fluent in Farsi, Hebrew, Italian and English. His accent, an inimitable polyglot growl, radiates a weariness that comes with being what he calls a “global nomad.”
As a graduate student at Harvard, Roubini was an unusual talent, according to his adviser, the Columbia economist Jeffrey Sachs. He was as comfortable in the world of arcane mathematics as he was studying political and economic institutions. “It’s a mix of skills that rarely comes packaged in one person,” Sachs told me. After completing his Ph.D. in 1988, Roubini joined the economics department at Yale, where he first met and began sharing ideas with Robert Shiller, the economist now known for his prescient warnings about the 1990s tech bubble.
The ’90s were an eventful time for an international economist like Roubini. Throughout the decade, one emerging economy after another was beset by crisis, beginning with Mexico’s in 1994. Panics swept Asia, including Thailand, Indonesia and Korea, in 1997 and 1998. The economies of Brazil and Russia imploded in 1998. Argentina’s followed in 2000. Roubini began studying these countries and soon identified what he saw as their common weaknesses. On the eve of the crises that befell them, he noticed, most had huge current-account deficits (meaning, basically, that they spent far more than they made), and they typically financed these deficits by borrowing from abroad in ways that exposed them to the national equivalent of bank runs. Most of these countries also had poorly regulated banking systems plagued by excessive borrowing and reckless lending. Corporate governance was often weak, with cronyism in abundance.
Roubini’s work was distinguished not only by his conclusions but also by his approach. By making extensive use of transnational comparisons and historical analogies, he was employing a subjective, nontechnical framework, the sort embraced by popular economists like the Times Op-Ed columnist Paul Krugman and Joseph Stiglitz in order to reach a nonacademic audience. Roubini takes pains to note that he remains a rigorous scholarly economist — “When I weigh evidence,” he told me, “I’m drawing on 20 years of accumulated experience using models” — but his approach is not the contemporary scholarly ideal in which an economist builds a model in order to constrain his subjective impressions and abide by a discrete set of data. As Shiller told me, “Nouriel has a different way of seeing things than most economists: he gets into everything.”
Roubini likens his style to that of a policy maker like Alan Greenspan, the former Fed chairman who was said (perhaps apocryphally) to pore over vast quantities of technical economic data while sitting in the bathtub, looking to sniff out where the economy was headed. Roubini also cites, as a more ideologically congenial example, the sweeping, cosmopolitan approach of the legendary economist John Maynard Keynes, whom Roubini, with only slight exaggeration, calls “the most brilliant economist who never wrote down an equation.” The book that Roubini ultimately wrote (with the economist Brad Setser) on the emerging market crises, “Bailouts or Bail-Ins?” contains not a single equation in its 400-plus pages.
After analyzing the markets that collapsed in the ’90s, Roubini set out to determine which country’s economy would be the next to succumb to the same pressures. His surprising answer: the United States’. “The United States,” Roubini remembers thinking, “looked like the biggest emerging market of all.” Of course, the United States wasn’t an emerging market; it was (and still is) the largest economy in the world. But Roubini was unnerved by what he saw in the U.S. economy, in particular its 2004 current-account deficit of $600 billion. He began writing extensively about the dangers of that deficit and then branched out, researching the various effects of the credit boom — including the biggest housing bubble in the nation’s history — that began after the Federal Reserve cut rates to close to zero in 2003. Roubini became convinced that the housing bubble was going to pop.
By late 2004 he had started to write about a “nightmare hard landing scenario for the United States.” He predicted that foreign investors would stop financing the fiscal and current-account deficit and abandon the dollar, wreaking havoc on the economy. He said that these problems, which he called the “twin financial train wrecks,” might manifest themselves in 2005 or, at the latest, 2006. “You have been warned here first,” he wrote ominously on his blog. But by the end of 2006, the train wrecks hadn’t occurred.
Recessions are signal events in any modern economy. And yet remarkably, the profession of economics is quite bad at predicting them. A recent study looked at “consensus forecasts” (the predictions of large groups of economists) that were made in advance of 60 different national recessions that hit around the world in the ’90s: in 97 percent of the cases, the study found, the economists failed to predict the coming contraction a year in advance. On those rare occasions when economists did successfully predict recessions, they significantly underestimated the severity of the downturns. Worse, many of the economists failed to anticipate recessions that occurred as soon as two months later.
The dismal science, it seems, is an optimistic profession. Many economists, Roubini among them, argue that some of the optimism is built into the very machinery, the mathematics, of modern economic theory. Econometric models typically rely on the assumption that the near future is likely to be similar to the recent past, and thus it is rare that the models anticipate breaks in the economy. And if the models can’t foresee a relatively minor break like a recession, they have even more trouble modeling and predicting a major rupture like a full-blown financial crisis. Only a handful of 20th-century economists have even bothered to study financial panics. (The most notable example is probably the late economist Hyman Minksy, of whom Roubini is an avid reader.) “These are things most economists barely understand,” Roubini told me. “We’re in uncharted territory where standard economic theory isn’t helpful.”
True though this may be, Roubini’s critics do not agree that his approach is any more accurate. Anirvan Banerji, the economist who challenged Roubini’s first I.M.F. talk, points out that Roubini has been peddling pessimism for years; Banerji contends that Roubini’s apparent foresight is nothing more than an unhappy coincidence of events. “Even a stopped clock is right twice a day,” he told me. “The justification for his bearish call has evolved over the years,” Banerji went on, ticking off the different reasons that Roubini has used to justify his predictions of recessions and crises: rising trade deficits, exploding current-account deficits, Hurricane Katrina, soaring oil prices. All of Roubini’s predictions, Banerji observed, have been based on analogies with past experience. “This forecasting by analogy is a tempting thing to do,” he said. “But you have to pick the right analogy. The danger of this more subjective approach is that instead of letting the objective facts shape your views, you will choose the facts that confirm your existing views.”
Kenneth Rogoff, an economist at Harvard who has known Roubini for decades, told me that he sees great value in Roubini’s willingness to entertain possible situations that are far outside the consensus view of most economists. “If you’re sitting around at the European Central Bank,” he said, “and you’re asking what’s the worst thing that could happen, the first thing people will say is, ‘Let’s see what Nouriel says.’ ” But Rogoff cautioned against equating that skill with forecasting. Roubini, in other words, might be the kind of economist you want to consult about the possibility of the collapse of the municipal-bond market, but he is not necessarily the kind you ask to predict, say, the rise in global demand for paper clips.
His defenders contend that Roubini is not unduly pessimistic. Jeffrey Sachs, his former adviser, told me that “if the underlying conditions call for optimism, Nouriel would be optimistic.” And to be sure, Roubini is capable of being optimistic — or at least of steering clear of absolute worst-case prognostications. He agrees, for example, with the conventional economic wisdom that oil will drop below $100 a barrel in the coming months as global demand weakens. “I’m not comfortable saying that we’re going to end up in the Great Depression,” he told me. “I’m a reasonable person.”
What economic developments does Roubini see on the horizon? And what does he think we should do about them? The first step, he told me in a recent conversation, is to acknowledge the extent of the problem. “We are in a recession, and denying it is nonsense,” he said. When Jim Nussle, the White House budget director, announced last month that the nation had “avoided a recession,” Roubini was incredulous. For months, he has been predicting that the United States will suffer through an 18-month recession that will eventually rank as the “worst since the Great Depression.” Though he is confident that the economy will enter a technical recovery toward the end of next year, he says that job losses, corporate bankruptcies and other drags on growth will continue to take a toll for years.
Roubini has counseled various policy makers, including Federal Reserve governors and senior Treasury Department officials, to mount an aggressive response to the crisis. He applauded when the Federal Reserve cut interest rates to 2 percent from 5.25 percent beginning last summer. He also supported the Fed’s willingness to engineer a takeover of Bear Stearns. Roubini argues that the Fed’s actions averted catastrophe, though he says he believes that future bailouts should focus on mortgage owners, not investors. Accordingly, he sees the choice facing the United States as stark but simple: either the government backs up a trillion-plus dollars’ worth of high-risk mortgages (in exchange for the lenders’ agreement to reduce monthly mortgage payments), or the banks and other institutions holding those mortgages — or the complex securities derived from them — go under. “You either nationalize the banks or you nationalize the mortgages,” he said. “Otherwise, they’re all toast.”
For months Roubini has been arguing that the true cost of the housing crisis will not be a mere $300 billion — the amount allowed for by the housing legislation sponsored by Representative Barney Frank and Senator Christopher Dodd — but something between a trillion and a trillion and a half dollars. But most important, in Roubini’s opinion, is to realize that the problem is deeper than the housing crisis. “Reckless people have deluded themselves that this was a subprime crisis,” he told me. “But we have problems with credit-card debt, student-loan debt, auto loans, commercial real estate loans, home-equity loans, corporate debt and loans that financed leveraged buyouts.” All of these forms of debt, he argues, suffer from some or all of the same traits that first surfaced in the housing market: shoddy underwriting, securitization, negligence on the part of the credit-rating agencies and lax government oversight. “We have a subprime financial system,” he said, “not a subprime mortgage market.”
Roubini argues that most of the losses from this bad debt have yet to be written off, and the toll from bad commercial real estate loans alone may help send hundreds of local banks into the arms of the Federal Deposit Insurance Corporation. “A good third of the regional banks won’t make it,” he predicted. In turn, these bailouts will add hundreds of billions of dollars to an already gargantuan federal debt, and someone, somewhere, is going to have to finance that debt, along with all the other debt accumulated by consumers and corporations. “Our biggest financiers are China, Russia and the gulf states,” Roubini noted. “These are rivals, not allies.”
The United States, Roubini went on, will likely muddle through the crisis but will emerge from it a different nation, with a different place in the world. “Once you run current-account deficits, you depend on the kindness of strangers,” he said, pausing to let out a resigned sigh. “This might be the beginning of the end of the American empire.”

Stephen Mihm, an assistant professor of economic history at the University of Georgia, is the author of “A Nation of Counterfeiters: Capitalists, Con Men and the Making of the United States.” His last feature article for the magazine was about North Korean counterfeiting