Nell'autunno 2011 alcuni scienziati svizzeri presentarono uno studio, pubblicato su New Scientist, che rivelava come soltanto un piccolo numero di banche avesse il pieno controllo di una porzione esagerata dell'economia globale. Questo studio, battezzato “La rete del controllo globale corporativo” e sviluppato a Zurigo da Stefania Vitali, James B. Glattfelder e Stefano Battiston, consisteva nell'autopsia della vasta base dati di marketing, relativi al 2007, della Orbis. Furono prelevati e poi analizzati file da tutto il mondo, che comprendevano più di 30 milioni di operatori economici, tra imprese e investitori, incluse le relative posizioni patrimoniali.
Dai dati si evince che sono circa 43.000 le aziende transnazionali che hanno i canoni per essere definite tali dall'OCSE. Le più importanti ed influenti sono però solo 1.318, le quali sono accomunate da tre caratteristiche principali:
- sommate tra di loro, arrivano a generare il 20% del reddito mondiale;
- si possiedono l'un l'altra (forse anche carnalmente tra impiegati e dirigenti);
- esiste un nucleo, chiamato ”Unità centrale”, che possiede tutte le altre 43.000 multinazionali.
1 BARCLAYS PLC GB 6512 SCC 4.05
2 CAPITAL GROUP COMPANIES INC, THE US 6713 IN 6.66
3 FMR CORP US 6713 IN 8.94
4 AXA FR 6712 SCC 11.21
5 STATE STREET CORPORATION US 6713 SCC 13.02
6 JP MORGAN CHASE & CO. US 6512 SCC 14.55
7 LEGAL & GENERAL GROUP PLC GB 6603 SCC 16.02
8 VANGUARD GROUP, INC., THE US 7415 IN 17.25
9 UBS AG CH 6512 SCC 18.46
10 MERRILL LYNCH & CO., INC. US 6712 SCC 19.45
11 WELLINGTON MANAGEMENT CO. L.L.P. US 6713 IN 20.33
12 DEUTSCHE BANK AG DE 6512 SCC 21.17
13 FRANKLIN RESOURCES, INC. US 6512 SCC 21.99
14 CREDIT SUISSE GROUP CH 6512 SCC 22.81
15 WALTON ENTERPRISES LLC US 2923 T&T 23.56
16 BANK OF NEW YORK MELLON CORP. US 6512 IN 24.28
17 NATIXIS FR 6512 SCC 24.98
18 GOLDMAN SACHS GROUP, INC., THE US 6712 SCC 25.64
19 T. ROWE PRICE GROUP, INC. US 6713 SCC 26.29
20 LEGG MASON, INC. US 6712 SCC 26.92
21 MORGAN STANLEY US 6712 SCC 27.56
22 MITSUBISHI UFJ FINANCIAL GROUP, INC. JP 6512 SCC 28.16
23 NORTHERN TRUST CORPORATION US 6512 SCC 28.72
24 SOCIÉTÉ GÉNÉRALE FR 6512 SCC 29.26
25 BANK OF AMERICA CORPORATION US 6512 SCC 29.79
26 LLOYDS TSB GROUP PLC GB 6512 SCC 30.30
27 INVESCO PLC GB 6523 SCC 30.82
28 ALLIANZ SE DE 7415 SCC 31.32
29 TIAA US 6601 IN 32.24
30 OLD MUTUAL PUBLIC LIMITED COMPANY GB 6601 SCC 32.69
31 AVIVA PLC GB 6601 SCC 33.14
32 SCHRODERS PLC GB 6712 SCC 33.57
33 DODGE & COX US 7415 IN 34.00
34 LEHMAN BROTHERS HOLDINGS, INC. US 6712 SCC 34.43 (e infatti avete sentito che botto ha fatto...)
35 SUN LIFE FINANCIAL, INC. CA 6601 SCC 34.82
36 STANDARD LIFE PLC GB 6601 SCC 35.2
37 CNCE FR 6512 SCC 35.57
38 NOMURA HOLDINGS, INC. JP 6512 SCC 35.92
39 THE DEPOSITORY TRUST COMPANY US 6512 IN 36.28
40 MASSACHUSETTS MUTUAL LIFE INSUR. US 6601 IN 36.63
41 ING GROEP N.V. NL 6603 SCC 36.96
42 BRANDES INVESTMENT PARTNERS, L.P. US 6713 IN 37.29
43 UNICREDITO ITALIANO SPA IT 6512 SCC 37.61
44 DEPOSIT INSURANCE CORPORATION OF JP JP 6511 IN 37.93
45 VERENIGING AEGON NL 6512 IN 38.25
46 BNP PARIBAS FR 6512 SCC 38.56
47 AFFILIATED MANAGERS GROUP, INC. US 6713 SCC 38.88
48 RESONA HOLDINGS, INC. JP 6512 SCC 39.18
49 CAPITAL GROUP INTERNATIONAL, INC. US 7414 IN 39.48
50 CHINA PETROCHEMICAL GROUP CO. CN 6511 T&T 39.78
2 CAPITAL GROUP COMPANIES INC, THE US 6713 IN 6.66
3 FMR CORP US 6713 IN 8.94
4 AXA FR 6712 SCC 11.21
5 STATE STREET CORPORATION US 6713 SCC 13.02
6 JP MORGAN CHASE & CO. US 6512 SCC 14.55
7 LEGAL & GENERAL GROUP PLC GB 6603 SCC 16.02
8 VANGUARD GROUP, INC., THE US 7415 IN 17.25
9 UBS AG CH 6512 SCC 18.46
10 MERRILL LYNCH & CO., INC. US 6712 SCC 19.45
11 WELLINGTON MANAGEMENT CO. L.L.P. US 6713 IN 20.33
12 DEUTSCHE BANK AG DE 6512 SCC 21.17
13 FRANKLIN RESOURCES, INC. US 6512 SCC 21.99
14 CREDIT SUISSE GROUP CH 6512 SCC 22.81
15 WALTON ENTERPRISES LLC US 2923 T&T 23.56
16 BANK OF NEW YORK MELLON CORP. US 6512 IN 24.28
17 NATIXIS FR 6512 SCC 24.98
18 GOLDMAN SACHS GROUP, INC., THE US 6712 SCC 25.64
19 T. ROWE PRICE GROUP, INC. US 6713 SCC 26.29
20 LEGG MASON, INC. US 6712 SCC 26.92
21 MORGAN STANLEY US 6712 SCC 27.56
22 MITSUBISHI UFJ FINANCIAL GROUP, INC. JP 6512 SCC 28.16
23 NORTHERN TRUST CORPORATION US 6512 SCC 28.72
24 SOCIÉTÉ GÉNÉRALE FR 6512 SCC 29.26
25 BANK OF AMERICA CORPORATION US 6512 SCC 29.79
26 LLOYDS TSB GROUP PLC GB 6512 SCC 30.30
27 INVESCO PLC GB 6523 SCC 30.82
28 ALLIANZ SE DE 7415 SCC 31.32
29 TIAA US 6601 IN 32.24
30 OLD MUTUAL PUBLIC LIMITED COMPANY GB 6601 SCC 32.69
31 AVIVA PLC GB 6601 SCC 33.14
32 SCHRODERS PLC GB 6712 SCC 33.57
33 DODGE & COX US 7415 IN 34.00
34 LEHMAN BROTHERS HOLDINGS, INC. US 6712 SCC 34.43 (e infatti avete sentito che botto ha fatto...)
35 SUN LIFE FINANCIAL, INC. CA 6601 SCC 34.82
36 STANDARD LIFE PLC GB 6601 SCC 35.2
37 CNCE FR 6512 SCC 35.57
38 NOMURA HOLDINGS, INC. JP 6512 SCC 35.92
39 THE DEPOSITORY TRUST COMPANY US 6512 IN 36.28
40 MASSACHUSETTS MUTUAL LIFE INSUR. US 6601 IN 36.63
41 ING GROEP N.V. NL 6603 SCC 36.96
42 BRANDES INVESTMENT PARTNERS, L.P. US 6713 IN 37.29
43 UNICREDITO ITALIANO SPA IT 6512 SCC 37.61
44 DEPOSIT INSURANCE CORPORATION OF JP JP 6511 IN 37.93
45 VERENIGING AEGON NL 6512 IN 38.25
46 BNP PARIBAS FR 6512 SCC 38.56
47 AFFILIATED MANAGERS GROUP, INC. US 6713 SCC 38.88
48 RESONA HOLDINGS, INC. JP 6512 SCC 39.18
49 CAPITAL GROUP INTERNATIONAL, INC. US 7414 IN 39.48
50 CHINA PETROCHEMICAL GROUP CO. CN 6511 T&T 39.78
Ovviamente sono tutte banche o istituti finanziari e possiedono tutto, dai principali settori industriali tra cui ad esempio quello bellico (1780 miliardi di fatturato), passando per le compagnie petrolifere (colossi come "ExxonMobil Corporation" o "Shell Group" possono contare su un giro d'affari che, nel 2008, ha sfiorato i 310 miliardi di Euro), per le industrie farmaceutiche (il mercato mondiale dei medicinali è stimato in 466 miliardi di dollari), per quelle alimentari (solo in Italia 127 miliardi di euro, mentre Nestlé da sola fattura 36,65 miliardi), senza dimenticare il settore delle telecomunicazioni (AT&T fattura 20 miliardi, Vodafone 13,8 etc). Il “Potere Monetario”, o Dio Quattrino, esite davvero, non è una leggenda.
Ora non resta che farsi una domanda: come si muovono questi colossi finanziari, se sono tutti controllati dalla stessa "Unità Centrale"? Ad ognuno la sua risposta.
La moneta dei più forti
EURO, SOVRANITÀ E COSTITUZIONE
L'Italia è di fronte a una scelta decisiva: continuare a sopportare lo spread assai alto che sappiamo (e che domani potrebbe essere ancora più alto), ovvero chiedere l'intervento del fondo salva Stati. La conseguenza nel primo caso sarebbe un declino economico certo. Ma ancora più grave sarebbe la conseguenza nel secondo caso, e cioè - in forza delle condizioni che accompagneranno l'aiuto della Bce, volute dalla Germania e da altri Paesi forti dell'eurozona - un vero e proprio commissariamento del governo italiano attuale e di quelli successivi. Che dunque sarebbero obbligati per anni ad attenersi a una serie di direttive dettate dall'esterno. Insomma, una radicale perdita di sovranità da parte della Repubblica.
È la conferma di un dato drammatico che la crisi dell'euro sta sempre più mettendo in luce: vale a dire che a distanza di circa sessant'anni dalla sua origine, e al di là di ogni apparenza formale, nell'ambito dell'Unione Europea non esiste alcun organo realmente sopranazionale, neppure la Banca centrale europea. Non esiste cioè alcun organo che in materie rilevanti possa - ispirandosi a un interesse collettivo o comunque a suo insindacabile giudizio ritenuto tale - decidere indipendentemente dalla volontà dei governi dei singoli Stati. Per esempio, stabilendo di distribuire con una certa equanimità fra tutti i membri i costi e i benefici delle sue decisioni. In queste condizioni l'euro è solo formalmente una moneta «europea», adottata su base paritaria e concordata: come i suoi padri s'illudevano che fosse. In realtà, essendo una moneta «unica» che alle spalle non ha però alcuna unità (nessuna unità vera, cioè politico-statale: la sola che conta per le classi politiche chiamate a rispondere a degli elettorati nazionali), esso è destinato inevitabilmente, alle prime difficoltà, a divenire qualcos'altro. E cioè il semplice paravento dietro il quale si manifestano, insopprimibili, i tradizionali contrasti e rivalità tra gli Stati.
Peggio: l'euro diviene un arma insidiosissima nelle mani dei Paesi economicamente più forti contro quelli più deboli. Infatti, nei tempi di tempesta la coesistenza da un lato di autonome individualità statali, e dall'altro della moneta unica, rischia di sortire il virtuale effetto, prendendo a motivo i vincoli «unitari» che questa comporta, di spezzare il nerbo degli Stati di serie B. Trasformandoli di fatto in autentici Stati vassalli. L'autonomia del «politico» si prende in tal modo la più beffarda vendetta a spese dell'immaginario primato dell'economia sul quale tutta la costruzione europea è stata edificata.
Ma ciò detto, va aggiunto subito dopo che quanto sta accadendo pone all'Italia, mi pare, tra le tante, anche una delicatissima questione di costituzionalità (e a mio giudizio sarebbe stato bene che non si fosse posta oggi per la prima volta: sennonché la nostra Corte Costituzionale, per ragioni che ignoro, non ha mai ritenuto di dovere imboccare quella via di rigida salvaguardia della sovranità nazionale nei confronti della costruzione europea che invece ha imboccato a suo tempo la Corte Costituzionale tedesca; dalle cui decisioni, così, anche noi finiamo oggi grottescamente per dipendere).
Ma ciò detto, va aggiunto subito dopo che quanto sta accadendo pone all'Italia, mi pare, tra le tante, anche una delicatissima questione di costituzionalità (e a mio giudizio sarebbe stato bene che non si fosse posta oggi per la prima volta: sennonché la nostra Corte Costituzionale, per ragioni che ignoro, non ha mai ritenuto di dovere imboccare quella via di rigida salvaguardia della sovranità nazionale nei confronti della costruzione europea che invece ha imboccato a suo tempo la Corte Costituzionale tedesca; dalle cui decisioni, così, anche noi finiamo oggi grottescamente per dipendere).
Nella nostra Carta, infatti, esiste un articolo 11 secondo il quale l'Italia può consentire alle limitazioni di sovranità ma «in condizioni di parità con gli altri Stati», ed evidentemente solo a queste condizioni. Non sembra allora inappropriata la domanda: quali mai «condizioni di parità» sarebbero garantite nell'eventuale cessione di sovranità alla quale ci vedessimo costretti in base alla richiesta di aiuto alla Banca centrale europea? Qui si tratta evidentemente di condizioni decise di volta in volta per diretto impulso dei governi, con contenuti ogni volta mutevoli. E dunque mi chiedo: che certezza può mai esservi che il trattamento oggi riservato all'Italia lo sarebbe domani, mettiamo, anche alla Germania? Cioè che siano effettivamente rispettate le «condizioni di parità» volute dalla Costituzione? Senza contare - altra considerazione all'apparenza non irrilevante - che sempre la nostra Costituzione stabilisce nel medesimo articolo che le limitazioni di sovranità di cui si sta dicendo possono essere fatte solo se «necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni». E allora ecco una nuova domanda: di quale «giustizia» è questione negli obblighi che dovremmo eventualmente prendere per salvarci dallo spread ? La giustizia del «guai ai vinti» o quale?
Non è solo una questione di soldi
monti e le polemiche tedesche
Ormai dovremmo saperlo, ma giova ripeterlo. Abbiamo vissuto per anni indebitandoci allegramente. Per anni l'Italia ha rappresentato un esempio da manuale di colpevole democrazia della spesa non coperta da entrate adeguate; cioè di una classe politica irresponsabile (la stessa, peraltro, che tra poco più di sei mesi ci chiederà il voto), la quale pensava sempre solo al suo consenso e mai al futuro del Paese. E anche un esempio, per favore non dimentichiamolo, di cittadini sempre avidi, ogni volta che ne avevano la forza, di chiedere soldi pubblici e privilegi a carico dell'erario.
Di questi fondatissimi dati di fatto si fa forte Stefano Micossi sul Corriere di ieri, e con lui altri cortesi critici del mio editoriale di domenica scorsa, per sottolineare che è vano «stupirsi - come io avrei fatto - se il condominio dell'euro non si fida di noi e ci mette sotto tutela», imponendoci condizioni lesive della nostra sovranità. Insomma, «chi è causa del suo mal» con quel che segue.
Sennonché le cose - a me sembra - sono un po' più complicate. Cerco di spiegarmi aiutandomi con un paragone. Quello con il Fondo monetario internazionale, il quale, come si sa, presta aiuto finanziario ai Paesi in difficoltà a patto che questi seguano le indicazioni di politica economica che esso di volta in volta suggerisce loro. Anche qui, dunque, è implicata una cessione di sovranità, ma di essa nessuno si è mai meravigliato. Da che mondo è mondo, infatti, la dura condizione d'inferiorità del debitore obbliga questi a stare ai desiderata del creditore. O fa come vuole lui, o niente.
È a tutti evidente, però, la differenza tra questo caso e il nostro attuale. Per due ragioni. La prima - fondamentalissima - è che il fondo monetario non è uno Stato. La seconda sta nel fatto che dal canto suo la Germania (parlo solo della Germania non per spirito antitedesco, ma per comodità discorsiva, in quanto rappresentativa dell'intera area economicamente forte e virtuosa dell'eurozona) non ha né può avere con l'Italia, che le piaccia o meno, un rapporto come quello, a suo modo assai semplice nella sua limpida brutalità, tra chi ha bisogno di soldi e chi ne dispone.
La Germania non è il rappresentante autorizzato né dei sottoscrittori stranieri del nostro debito pubblico né del fondo salva Stati (e tra l'altro in questa fase si sta avvantaggiando rispetto agli altri Paesi finanziandosi a tassi negativi). È un Paese che ha con il nostro (e non solo, naturalmente) un assai antico e complesso rapporto di solidarietà politica a tutto campo qual è da decenni quello definito dalla costruzione europea e da una connessa, amplissima, condivisione istituzionale.
Entrambe queste ragioni hanno una conseguenza decisiva. Squarciano l'involucro economico del discorso e ne fanno emergere con forza il contenuto politico che alla fine è l'unico che conta, dal momento che - qualunque cosa dicano i vari trattati, anche quelli di natura più tecnica - il senso e la ragione ultima dell'Unione Europea sono per l'appunto un senso e una ragione di natura intrinsecamente politica (anche se questa non è mai riuscita a concretizzarsi in istituzioni adeguate).
Ma proprio da un tale punto di vista, proprio se tutto ciò è vero, come si fa allora a non vedere l'immane incidenza politica che nell'ambito di un insieme unitario e paritario di Stati, come finora ha detto di essere la Ue, avrebbe la perdita di sovranità da parte di uno (o più) di essi? Come si fa a non mettere al centro del problema il fatto che alla perdita di sovranità, e dunque di ruolo e di peso politico da parte di uno Stato, corrisponderebbe necessariamente e immediatamente l'accrescimento di ruolo e di peso di un altro (quello della Germania)? E come si fa, infine, a considerare trascurabile l'effetto profondo ma inevitabile che questo spostamento di pesi politici avrebbe sulla natura politica, ma prima di tutto storica, della costruzione europea? Trasformandola definitivamente in un'Unione euro-carolingia a dominazione tedesca, mille miglia lontana da qualunque cosa l'europeismo di qualunque colore abbia mai pensato. È davvero questo che si vuole all'Aia, a Helsinki, e pure a Berlino? Altro che debitori e creditori, «è colpa vostra», «è merito nostro», e chiacchiere simili.
Tutte cose vere, per carità, verissime. Ma che non colgono il punto. Il punto vero è che oggi sullo spread e sull'impiego del Fondo salva Stati a favore dei Paesi dell'Europa mediterranea non si gioca un braccio di ferro finanziario: si decide in realtà la questione, integralmente politica, di che cosa sarà in futuro l'Unione Europea e di che cosa saranno i regimi politici di una parte di essa.
P .S.: Cedendo all'antica tentazione nazionale di apparire sempre, di qualunque cosa si tratti, come i primi della classe, molti politici e commentatori tedeschi si sono trasformati nelle ultime ore in accigliati maestrini di democrazia ai danni del nostro presidente del Consiglio. Accusato - nientedimeno! - di aver manifestato in una intervista a Der Spiegel disprezzo verso il controllo parlamentare sui governi, fondamento di ogni regime rappresentativo. Ma è un gioco che mostra la corda. Estrapolando cinque parole si può far dire qualunque cosa a chiunque. Altro discorso però è darlo a credere davvero a chi conosce bene la personalità di Mario Monti. Come la conosce, per l'appunto, la stragrande maggioranza degli italiani: salvo ahimè i pochi politicanti da quattro soldi prestatisi anche questa volta, come spesso capita, a fare da cassa di risonanza alle maldicenze d'Oltralpe.
di Paolo Becchi
In alcuni recenti interventi (ndr: "Uscire dall'Europa si può" e "Euro, lasciate ogni speranza o voi che entrate"), mi sono chiesto se uscire dall’Euro e dall’Europa fosse davvero impossibile. Uscire è possibile, ne ho concluso. Ma, rispondendo a quest’ultima domanda, un’altra ne è immediatamente seguita: ed entrarne? Come siamo entrati in Europa e, soprattutto, era possibile entrarvi nel modo in cui lo abbiamo fatto?
L’adattamento dell’ordinamento italiano al diritto dell’Unione europea è avvenuto senza mai modificare formalmente la nostra Costituzione. Diversamente, le sempre più penetranti cessioni di sovranità sono avvenute attraverso una lettura “forzata” dell’art. 11 della Costituzione, avallata dalla Corte Costituzionale. L’art. 11 Cost., in realtà, si limita a dichiarare che l’Italia «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni». L’adattamento ai trattati avviene, in concreto, attraverso l’ “ordine di esecuzione”, il quale solitamente è contenuto nella legge di autorizzazione alla ratifica: i trattati, pertanto, entrano nell’ordinamento italiano assumendo il rango della fonte che ha dato loro esecuzione ossia la legge ordinaria. Così è avvenuto con il Trattato di Lisbona, ultimo passo, nel processo di integrazione europea, al quale è stata data esecuzione con legge ordinaria (L. 2 agosto 2008, n. 130). Nel nostro Paese, pertanto, i trattati internazionali – ivi compresi quelli relativi all’Unione Europea – dovrebbero avere semplice rango di legge e, come tali, non potrebbero mai essere in contrasto con la Costituzione. In altri Stati europei le cose stanno diversamente.
In Francia, ad esempio, è previsto espressamente che «les traités ou accords régulièrement ratifiés ou approuvés ont, dès leur publication, une autorité supérieure à celle des lois» (art. 55). In Germania, invece, la ratifica del Trattato di Lisbona è avvenuta attraverso l’adozione di due leggi costituzionali, le quali sono state, peraltro, sottoposte al controllo della Corte Costituzionale tedesca in quanto ritenute in contrasto con la Costituzione. L’art. 23 della Costituzione tedesca prevede esplicitamente la partecipazione della Repubblica federale tedesca «allo sviluppo dell´Unione europea», ferma la presenza di una serie di “controlimiti” all’applicazione del diritto comunitario, il cui fondamento è, in particolare, il principio democratico, il quale deve sempre essere rispettato.
Rispetto ai meccanismi previsti da Paesi quali Francia e Germania, l’Italia aveva, evidentemente, due problemi fondamentali: da un lato, l’assenza di una espressa previsione costituzionale avente ad oggetto i rapporti con l’Unione europea; dall’altro, la natura di legge ordinaria con cui si è sempre proceduto a dare applicazione ed esecuzione ai trattati internazionali. Che l’art. 11 Cost. non fosse sufficiente a garantire una “copertura” al diritto comunitario, lo stesso legislatore ne è stato consapevole, tanto da modificare, con una legge costituzionale (L. n. 3/2001), l’art. 117 Cost., dedicato ai rapporti tra Stato e Regioni, disponendo che «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». Si tratta, in realtà, di una disposizione che non risolve e non garantisce un fondamento costituzionale ai trattati, tanto che, ancora oggi, la Corte Costituzionale continua ad argomentare il principio del “primato” del diritto comunitario sul diritto interno sulla base dell’art. 11 Cost. (cfr. Corte Cost. n. 248/2007).
Nei rapporti con l’Unione Europea, è l’art. 11 Cost. che esclude che la norma comunitaria possa limitarsi a valere quale “legge ordinaria” nel nostro ordinamento. A partire, infatti, dalla sentenza Granital del 1984, la teoria “dualistica” ha consentito di sostenere che le norme comunitarie sono estranee al sistema italiano delle fonti ed assumono forza giuridica ad esse attribuita nell’ordinamento di origine (l’ordinamento italiano e quello europeo sarebbero «autonomi e distinti, ancorchè coordinati, secondo la ripartizione di competenza stabilita e garantita dal Trattato»: le norme comunitarie restano pertanto tali anche quando fanno ingresso nel nostro Paese, e prevalgono sulle norme interne sulla base del principio di “competenza”).
Nella sua interpretazione ormai consolidata, la Corte Costituzionale continua a sostenere che «con l’adesione ai Trattati comunitari, l'Italia è entrata a far parte di un “ordinamento” più ampio, di natura sopranazionale, cedendo parte della sua sovranità, anche in riferimento al potere legislativo, nelle materie oggetto dei Trattati medesimi». Ma quale parte della sua sovranità? La Costituzione italiana si riferisce alla “sovranità” sia all’art. 1 – stabilendo che essa appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione – che all’art. 11, il quale, come visto, consente le limitazioni di sovranità necessarie a garantire il funzionamento di un ordinamento internazionale che assicuri pace e giustizia nel mondo. Appare evidente come l’art. 1 e l’art. 11 si riferiscano, in realtà, ai due differenti aspetti propri della “sovranità”, nel suo concetto classico: l’art. 1 alla sovranità interna, ossia al rapporto tra lo Stato e quanti risiedono sul proprio territorio; l’art. 11 alla sovranità esterna, ossia ai rapporti dello Stato con gli altri Stati o organizzazioni internazionali. Varrebbe peraltro la pena di ricordare come, in sede di Commissione per la Costituente, si scelse di omettere, nella formulazione dell’art. 11, ogni esplicito riferimento all’unità europea, come invece aveva chiesto l’onorevole Lussu. Le limitazioni di sovranità dovevano riferirsi unicamente allo Stato nei suoi rapporti internazionali (ONU). L’art. 11 Cost., pertanto, non può essere interpretato nel senso voluto dalla Corte Costituzionale, ossia come “copertura” di rango costituzionale alle sempre più profonde cessioni di aspetti tipici della sovranità interna in favore dell’Unione Europea. L’art. 11 non limita la sovranità del popolo, ma solo quella dello Stato in rapporto agli altri Stati.
È questa linea di separazione fondamentale tra sovranità interna ed esterna che deve fondare il rapporto con l’Unione Europea, e non certo la teoria dei “controlimiti” fatta propria dalla Corte Costituzionale, secondo la quale le norme comunitarie incontrerebbero, nella loro applicazione interna, il «solo limite dell'intangibilità dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione». Limiti all’ingresso delle norme internazionali e comunitarie sarebbero pertanto costituiti unicamente dai «valori fondamentali dell’ordinamento costituzionale italiano e dai diritti inviolabili dell’uomo». Si tratta di una teoria debole, che non tiene conto del fatto che la sovranità interna non riguarda soltanto i “princìpi” dell’ordinamento, ma le potestà fondamentali che caratterizzano lo Stato nei suoi rapporti con i suoi cittadini e con il territorio: legislazione, amministrazione della giustizia, moneta, politiche economiche e sociali. L’art. 11 Cost. non consentiva la rinunzia, la cessione di queste “porzioni” di sovranità – realizzate peraltro attraverso semplici leggi ordinarie al contempo sottratte ad ogni possibilità di controllo di costituzionalità.
In Germania, il Meccanismo europeo di stabilità (MES) verrà vagliato dalla Corte Costituzionale, che dovrà giudicarne la compatibilità con la Costituzione. In Italia, è stato invece immediatamente ratificato ed eseguito, senza nessuna discussione: non ci sarà su di essi nessun controllo di costituzionalità. La teoria “dualistica” è stato un artificio giuridico, un grande “racconto” che non aveva alcuna base nella nostra Costituzione e che è servito a giustificare e legittimare l’automatico adattamento dell’Italia alle sempre più invasive disposizioni dell’Unione Europea. Uscire dall’Europa è possibile. Entrarne, nel modo in cui è avvenuto, è stato invece costituzionalmente illegittimo.
LEGGI ANCHE: "Dov'è la Corte Costituzionale? Perché tace?" di E. Galli Della Loggia
In Francia, ad esempio, è previsto espressamente che «les traités ou accords régulièrement ratifiés ou approuvés ont, dès leur publication, une autorité supérieure à celle des lois» (art. 55). In Germania, invece, la ratifica del Trattato di Lisbona è avvenuta attraverso l’adozione di due leggi costituzionali, le quali sono state, peraltro, sottoposte al controllo della Corte Costituzionale tedesca in quanto ritenute in contrasto con la Costituzione. L’art. 23 della Costituzione tedesca prevede esplicitamente la partecipazione della Repubblica federale tedesca «allo sviluppo dell´Unione europea», ferma la presenza di una serie di “controlimiti” all’applicazione del diritto comunitario, il cui fondamento è, in particolare, il principio democratico, il quale deve sempre essere rispettato.
Rispetto ai meccanismi previsti da Paesi quali Francia e Germania, l’Italia aveva, evidentemente, due problemi fondamentali: da un lato, l’assenza di una espressa previsione costituzionale avente ad oggetto i rapporti con l’Unione europea; dall’altro, la natura di legge ordinaria con cui si è sempre proceduto a dare applicazione ed esecuzione ai trattati internazionali. Che l’art. 11 Cost. non fosse sufficiente a garantire una “copertura” al diritto comunitario, lo stesso legislatore ne è stato consapevole, tanto da modificare, con una legge costituzionale (L. n. 3/2001), l’art. 117 Cost., dedicato ai rapporti tra Stato e Regioni, disponendo che «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». Si tratta, in realtà, di una disposizione che non risolve e non garantisce un fondamento costituzionale ai trattati, tanto che, ancora oggi, la Corte Costituzionale continua ad argomentare il principio del “primato” del diritto comunitario sul diritto interno sulla base dell’art. 11 Cost. (cfr. Corte Cost. n. 248/2007).
Nei rapporti con l’Unione Europea, è l’art. 11 Cost. che esclude che la norma comunitaria possa limitarsi a valere quale “legge ordinaria” nel nostro ordinamento. A partire, infatti, dalla sentenza Granital del 1984, la teoria “dualistica” ha consentito di sostenere che le norme comunitarie sono estranee al sistema italiano delle fonti ed assumono forza giuridica ad esse attribuita nell’ordinamento di origine (l’ordinamento italiano e quello europeo sarebbero «autonomi e distinti, ancorchè coordinati, secondo la ripartizione di competenza stabilita e garantita dal Trattato»: le norme comunitarie restano pertanto tali anche quando fanno ingresso nel nostro Paese, e prevalgono sulle norme interne sulla base del principio di “competenza”).
Nella sua interpretazione ormai consolidata, la Corte Costituzionale continua a sostenere che «con l’adesione ai Trattati comunitari, l'Italia è entrata a far parte di un “ordinamento” più ampio, di natura sopranazionale, cedendo parte della sua sovranità, anche in riferimento al potere legislativo, nelle materie oggetto dei Trattati medesimi». Ma quale parte della sua sovranità? La Costituzione italiana si riferisce alla “sovranità” sia all’art. 1 – stabilendo che essa appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione – che all’art. 11, il quale, come visto, consente le limitazioni di sovranità necessarie a garantire il funzionamento di un ordinamento internazionale che assicuri pace e giustizia nel mondo. Appare evidente come l’art. 1 e l’art. 11 si riferiscano, in realtà, ai due differenti aspetti propri della “sovranità”, nel suo concetto classico: l’art. 1 alla sovranità interna, ossia al rapporto tra lo Stato e quanti risiedono sul proprio territorio; l’art. 11 alla sovranità esterna, ossia ai rapporti dello Stato con gli altri Stati o organizzazioni internazionali. Varrebbe peraltro la pena di ricordare come, in sede di Commissione per la Costituente, si scelse di omettere, nella formulazione dell’art. 11, ogni esplicito riferimento all’unità europea, come invece aveva chiesto l’onorevole Lussu. Le limitazioni di sovranità dovevano riferirsi unicamente allo Stato nei suoi rapporti internazionali (ONU). L’art. 11 Cost., pertanto, non può essere interpretato nel senso voluto dalla Corte Costituzionale, ossia come “copertura” di rango costituzionale alle sempre più profonde cessioni di aspetti tipici della sovranità interna in favore dell’Unione Europea. L’art. 11 non limita la sovranità del popolo, ma solo quella dello Stato in rapporto agli altri Stati.
È questa linea di separazione fondamentale tra sovranità interna ed esterna che deve fondare il rapporto con l’Unione Europea, e non certo la teoria dei “controlimiti” fatta propria dalla Corte Costituzionale, secondo la quale le norme comunitarie incontrerebbero, nella loro applicazione interna, il «solo limite dell'intangibilità dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione». Limiti all’ingresso delle norme internazionali e comunitarie sarebbero pertanto costituiti unicamente dai «valori fondamentali dell’ordinamento costituzionale italiano e dai diritti inviolabili dell’uomo». Si tratta di una teoria debole, che non tiene conto del fatto che la sovranità interna non riguarda soltanto i “princìpi” dell’ordinamento, ma le potestà fondamentali che caratterizzano lo Stato nei suoi rapporti con i suoi cittadini e con il territorio: legislazione, amministrazione della giustizia, moneta, politiche economiche e sociali. L’art. 11 Cost. non consentiva la rinunzia, la cessione di queste “porzioni” di sovranità – realizzate peraltro attraverso semplici leggi ordinarie al contempo sottratte ad ogni possibilità di controllo di costituzionalità.
In Germania, il Meccanismo europeo di stabilità (MES) verrà vagliato dalla Corte Costituzionale, che dovrà giudicarne la compatibilità con la Costituzione. In Italia, è stato invece immediatamente ratificato ed eseguito, senza nessuna discussione: non ci sarà su di essi nessun controllo di costituzionalità. La teoria “dualistica” è stato un artificio giuridico, un grande “racconto” che non aveva alcuna base nella nostra Costituzione e che è servito a giustificare e legittimare l’automatico adattamento dell’Italia alle sempre più invasive disposizioni dell’Unione Europea. Uscire dall’Europa è possibile. Entrarne, nel modo in cui è avvenuto, è stato invece costituzionalmente illegittimo.
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